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Bagavadgita

Ultimo Aggiornamento: 28/05/2009 16:07
OFFLINE
Post: 622
Sesso: Femminile
VERSI 6-7

maha-bhutany ahankaro
buddhir avyaktam eva ca
indriyani dasaikam ca
panca cendria-gocarah

iccha dvesah sukham duhkham
sanghatas cetana dhritih
etat ksetram samasena
sa-vikaram udahritam

maha-bhutani: i grandi elementi; ahankarah: falso ego; buddhih: intelligenza; avyaktam: il non manifestato; eva: certamente; ca: anche; indriyani: i sensi; dasa-ekam: undici; ca: anche; panca: cinque; ca: anche; indriya-gocarah: gli oggetti dei sensi; iccha: desiderio; dvesah: odio; sukham: gioia; duhkham: dolore; sanghatah: l'aggregato; cetana: sintomi della vita; dhritih: convinzione; etat: tutto ciò; ksetram: il campo di attività; samasena: in sintesi; sa-vikaram: con interazioni; udahritam: esemplificato.



TRADUZIONE

I cinque elementi, il falso ego, l'intelligenza, il non manifestato, i dieci sensi e la mente, i cinque oggetti dei sensi, il desiderio, l'avversione, la gioia e il dolore, l'aggregato, i sintomi della vita e le convinzioni - tutto è considerato, in sintesi, il campo d'azione e con le sue interazioni.



SPIEGAZIONE

Secondo i grandi saggi, gli inni vedici e gli aforismi del Vedanta-sutra, gli elementi che costituiscono questo universo sono la terra, l'acqua, il fuoco, l'aria e l'etere, detti anche i cinque grandi elementi (maha-bhuta). Poi il falso ego, l'intelligenza e le tre influenze della natura allo stato non manifestato. Quindi gli organi dei sensi: cinque di percezione, con i quali acquisiamo la conoscenza, cioè gli occhi, gli orecchi, il naso, la lingua e la pelle e cinque d'azione, cioè la bocca, le gambe, le braccia, l'ano e gli organi genitali. Al di là dei sensi si trova la mente, detta anche senso interno, o undicesimo senso. Ci sono infine i cinque tipi di oggetti dei sensi: gli oggetti olfattivi, gustativi, visivi, tattili e sonori. L'insieme di questi ventiquattro elementi costituisce ciò che si chiama il campo d'azione, che può essere compreso con uno studio approfondito di questi elementi.

A questi elementi si aggiungono il desiderio e l'avversione, il piacere e la sofferenza, che sono manifestazioni dei cinque grandi elementi del corpo grossolano e i prodotti della loro interazione. I sintomi della vita, invece, che sono la coscienza e la convinzione, sono le manifestazioni del corpo sottile, che si compone degli elementi sottili, cioè la mente, l'intelligenza e il falso ego, e che sono anch'essi inclusi nel campo d'azione. I cinque grandi elementi (maha-bhuta) sono una rappresentazione grossolana del falso ego, che a sua volta rappresenta lo stadio primario di falso ego, tecnicamente definito concezione materiale, ossia tamasa-buddhi, intelligenza in ignoranza. Questa rappresenta ulteriormente lo stadio non manifestato delle tre influenze della natura materiale. Le influenze non manifestate della natura materiale sono chiamate pradhana.
Per conoscere nei particolari questi ventiquattro elementi e le loro interazioni, di cui la Bhagavad-gita dà qui un semplice accenno, occorre approfondire questa filosofia. Il corpo, che è la manifestazione di tutti questi elementi riuniti, attraversa sei fasi: nasce, cresce, si mantiene per un certo tempo, si riproduce, deperisce e infine muore. Di conseguenza, lo ksetra, il campo, è materiale e temporaneo, a differenza dello ksetra-jna, il conoscitore e il possessore del campo.






VERSI 8-12

amanitvam adambhitvam
ahimsa ksantir arjavam
acaryopasanam saucam
sthairyam atma-vinigrahah

indriyarthesu vairagyam
anahankara eva ca
janma-mrityu-jara-vyadhi-
duhkha-dosanudarsanam

asaktir anabhisvangah
putra-dara-grihadisu
nityam ca sama-cittatvam
istanistopapattisu

mayi cananya-yogena
bhaktir avyabhicarini
vivikta-desa-sevitam
aratir jana-samsadi

adhyatma-jnana-nityatvam
tattva-jnanartha-darsanam
etaj jnanam iti proktam
ajnanam yad ato 'nyatha

amanitvam: umiltà; adambhitvam: assenza di orgoglio; ahimsa: non violenza; ksantih: tolleranza; arjavam: semplicità; acarya-upasanam: ricerca di un maestro spirituale autentico; saucam: pulizia; sthairyam: costanza; atma-vinigrahah: autocontrollo; indriya-arthesu: per ciò che riguarda i sensi; vairagyam: rinuncia; anahankarah: liberi dal falso ego; eva: certamente; ca: anche: janma: di nascita; mrityu: morte; jara: vecchiaia; vyadhi: e malattia; duhkha: della sofferenza; dosa: errore; anudarsanam: osservando; asaktih: liberi dall'attaccamento; ana-bhisvangah: privi di contatto; putra: con figli; dara: moglie; griha-adisu: casa, ecc.; nityam: costante; ca: anche; sama-cittatvam: equilibrio; ista: il desiderabile; anista: e indesiderabile; upapattisu: avendo ottenuto; mayi: a Me; ca: anche; ananya-yogena: col servizio devozionale puro; bhakti: devozione; avyabhicarini: ininterrotta; vivikta: solitari; desa: luoghi; sevitvam: aspirando; aratih: senza attaccamento; jana-samsadi: alla gente in generale; adyatma: relativo al sé; jnana: nella conoscenza; nityatvam: costanza; tattva-jnana: conoscenza della verità; artha: per l'oggetto; darsanam: filosofia; etat: tutto ciò; jnanam: conoscenza; iti: così; proktam: dichiarato; ajnanam: ignoranza; yat: ciò che; atah: da questo; anyatha: altro.



TRADUZIONE

L'umiltà, l'assenza di orgoglio, la non violenza, la tolleranza, la semplicità, l'atto di avvicinare un maestro spirituale autentico, la pulizia, la costanza, il controllo di sé, la rinuncia agli oggetti del piacere dei sensi, l'assenza di falso ego, la percezione che nascita, malattia, vecchiaia e morte sono mali da combattere, il distacco, la libertà dai legami con moglie figli casa e ciò che li riguarda, l'equanimità in ogni situazione, piacevole e dolorosa, la devozione pura e costante verso di Me, l'aspirazione a vivere in luoghi solitari e il disinteresse per la folla, il fatto di riconoscere l'importanza della realizzazione spirituale e la ricerca filosofica della Verità Assoluta - Io dichiaro che questa è conoscenza e tutto il resto è ignoranza.



SPIEGAZIONE

Alcune persone di scarsa intelligenza sostengono che questa via della conoscenza è prodotta dalle interazioni degli elementi del campo d'azione, mentre è in realtà l'unica via di conoscenza, che permette a colui che l'adotta di avvicinare la Verità Assoluta. Non solo essa non è soggetta all'interazione dei ventiquattro elementi materiali, ma rappresenta il modo per sfuggirvi. L'anima incarnata è imprigionata dal corpo che è un rivestimento fatto di ventiquattro elementi e il metodo di conoscenza descritto qui è il metodo per uscirne. Di tutti gli elementi che conoscono la via della conoscenza, la prima riga del verso undici ne rivela il più importante, mayi cananya-yogena bhaktir avyabhicarini: la via della conoscenza conduce al puro servizio di devozione offerto al Signore. Se non raggiungiamo o non siamo capaci di raggiungere questo servizio di devozione assoluto, al di là della materia, gli altri diciannove elementi non ci saranno di alcun aiuto. Viceversa, è sufficiente svolgere il servizio di devozione in piena coscienza di Krishna perché gli altri elementi si sviluppino spontaneamente in noi.

Come afferma lo Srimad-Bhagavatam (5.18.12): yasyasti bhaktir bhagavaty akincana sarvair gunais tatra samasate surah. Tutte le qualità della conoscenza si sviluppano nella persona che ha raggiunto lo stadio del servizio devozionale. Il principio espresso nel verso otto, sul fatto di accettare un maestro spirituale, è essenziale; ed è il più importante anche per chi intraprende la via della devozione, poiché la vita spirituale comincia solo con l'applicazione di questo principio, cioè solo quando si accetta un maestro spirituale. Dio, la Persona Suprema, Sri Krishna afferma chiaramente che questa via di conoscenza è la vera via; ogni elucubrazione, ogni cosa che se ne allontana, non è che stupidità.
Gli elementi costitutivi della conoscenza menzionati in questo verso possono essere spiegati come segue.
Per umiltà si deve intendere lo stato in cui si è liberi dal desiderio di vedersi onorati dagli altri. La concezione materialistica della vita ci rende sempre assetati di onori, ma per l'uomo di conoscenza, che sa di essere distinto dal corpo, onore e disonore sono ugualmente inutili, come tutto ciò che riguarda il corpo. È bene quindi non ricercare questi onori materiali e ingannevoli.

Nell'ansia di mostrare il loro spirito religioso, gli uomini spesso aderiscono a questo movimento spirituale, senza capire i princìpi della religione. Nonostante tutti i meriti che si attribuiscono, nessuno di loro osserva i veri princìpi della religione. Gli elementi che stiamo studiando devono permetterci di valutare i veri progressi che compiamo nella scienza spirituale.
Si crede generalmente che la nonviolenza consiste soprattutto nel non causare angoscia agli altri. Gli uomini, immersi in una concezione materialistica della vita, sono prigionieri dell'ignoranza e perpetuamente subiscono le sofferenze di questo mondo, perciò, se non si cerca di elevarli alla conoscenza spirituale, si commette violenza nei loro confronti. Si deve fare il possibile per dare a tutti la vera conoscenza in modo che diventino illuminati e si liberino da questo condizionamento materiale. Questa è la vera nonviolenza.

Tolleranza significa saper sopportare gli insulti e il disonore. Quando si è impegnati a coltivare la conoscenza spirituale, ci si espone al disonore e agli insulti. Così si vede la natura materiale. Anche Prahlada, un bambino di cinque anni che aveva già intrapreso la via della conoscenza spirituale, si trovò in pericolo a causa del padre che si opponeva violentemente ai suoi sentimenti devozionali. Il padre cercò di ucciderlo in tutti i modi, ma Prahlada non smise mai di essere tollerante nei suoi confronti. Numerosi ostacoli si ergono sulla via del progresso spirituale; bisogna imparare a tollerarli e continuare il nostro cammino con determinazione.
Semplicità vuol dire essere franchi e diretti per poter svelare la pura verità, senza risvolti diplomatici, anche a un nemico.

Il fatto di accettare un maestro spirituale autentico è essenziale, perché senza le sue istruzioni non si può progredire nella scienza spirituale. Si deve avvicinare il maestro spirituale con grande umiltà, pronti a servirlo in tutto, in modo che egli sia felice di accordare la sua benedizione al discepolo. Poiché il maestro spirituale è il rappresentante di Krishna, la potenza delle sue benedizioni è tale da garantire al discepolo un progresso immediato, anche se il discepolo non osservai princìpi regolatori della vita spirituale. D'altra parte, le benedizioni del maestro spirituale faciliteranno l'osservanza dei princìpi regolatori a colui che ha servito il proprio maestro senza riserve.

La pulizia è anch'essa necessaria al progresso spirituale. Essa comporta due aspetti, uno esterno e uno interno. Esternamente si deve curare l'igiene del corpo con bagni regolari, e internamente si deve pensare sempre a Krishna e cantare i Suoi santi nomi: Hare Krishna, Hare Krishna, Krishna Krishna, Hare Hare / Hare Rama, Hare Rama, Rama Rama, Hare Hare, per liberare così la mente da tutta la polvere che il karma vi ha accumulato.
Costanza significa essere fermamente determinati a fare progressi nella vita spirituale. Senza questa determinazione non può esserci alcun avanzamento tangibile.

Il controllo di sé consiste nel rifiutare tutto ciò che potrebbe nuocere al progresso spirituale. E la rinuncia, quella vera consiste nella pratica naturale di questo controllo di sé.
I sensi sono così impetuosi che cercano sempre nuovi piaceri, ma noi dovremmo rifiutarci di cedere a questi impulsi, che sono sempre contingenti. Dobbiamo soddisfare i sensi solo quanto basta per mantenere il corpo in buona salute, per compiere il nostro dovere e avanzare nella vita spirituale.

Il senso più importante, e anche più difficile da controllare, è la lingua; se si riesce a dominarla diventerà facile dominare tutti gli altri sensi. La lingua ha due funzioni: gustare e far vibrare dei suoni. Bisogna dunque controllare la lingua in modo sistematico, dandole da gustare il cibo offerto a Krishna e facendole vibrare il canto del mantra Hare Krishna, senza lasciarle la possibilità di abbandonarsi a se stessa. Gli occhi, invece, non dovrebbero guardare nient'altro se non la forma affascinante di Krishna, gli orecchi dovrebbero ascoltare solo ciò che riguarda Krishna, e il naso odorare solo il profumo dei fiori offerti a Krishna. Questa è la scienza del servizio di devozione e, come mostra questo verso, la Bhagavad-gita non ha altro scopo se non quello d'insegnare questa scienza. Certi commentatori poco sensati tentano di deviare l'attenzione del lettore su altri soggetti, ma la Bhagavad-gita tratta esclusivamente del servizio di devozione.

Il falso ego è l'identificazione dell'essere col proprio corpo; invece, chi sa di essere un'anima spirituale, distinta dal corpo, conosce il vero ego. L'ego c'è sempre, ma mentre quello falso è condannato, quello vero no. I Testi vedici (Brihad-aranyaka Upanisad ), c'insegnano, aham brahmasmi: "Io sono Brahman, io sono di natura spirituale." Questo "io sono", questa "sensazione di essere", questa individualità, permane anche dopo la liberazione e rappresenta l'ego. Se abbiamo una concezione giusta e reale del nostro sé, siamo situati nel vero ego, ma se identifichiamo il corpo col sé, siamo nel falso ego. Alcuni filosofi vorrebbero farci abbandonare il nostro ego, cosa impossibile perché l'ego è sinonimo d'individualità. Ciò che si deve abbandonare, invece è ogni identificazione col corpo.

Dobbiamo anche diventare consapevoli delle sofferenze a cui ci espongono la nascita, la malattia, la vecchiaia e la morte. Descrizioni della nascita si trovano in diversi Testi vedici; nello Srimad-Bhagavatam, per esempio, troviamo una vivida descrizione del mondo in cui vive il bambino prima di nascere, della sua permanenza nell'utero della madre e delle sue sofferenze. Bisogna rendersi conto di quanto sia penoso nascere, perché è proprio l'oblio delle sofferenze vissute nel grembo della madre che c'impedisce di ricercare la liberazione dal ciclo di nascite e morti. Ogni tipo di sofferenza ci attende al momento della morte, momento descritto nei Testi vedici. Anche questo argomento dev'essere affrontato. Quanto alla malattia e alla vecchiaia, tutti ne hanno esperienza. Nessuno desidera ammalarsi o invecchiare, ma nessuno può evitarlo. Se non si ha una visione pessimistica dell'esistenza materiale, con le sue nascite e morti ripetute, con la vecchiaia e la malattia, non si avrà mai lo stimolo necessario al progresso spirituale.

Per quanto riguarda il distacco dalla famiglia e dalla casa, non si tratta di reprimere i sentimenti naturali verso la moglie e i figli; ma quando essi rappresentano un ostacolo alla vita spirituale, è meglio distaccarsene. Il modo migliore per rendere felice la propria casa è facile per chi è pienamente cosciente di Krishna; basta cantare Hare Krishna, Hare Krishna, Krishna Krishna, Hare Hare / Hare Rama, Hare Rama, Rama Rama, Hare Hare, accettare i resti del cibo offerto a Krishna, leggere Scritture come la Bhagavad-gita e lo Srimad-Bhagavatam, e dedicarsi all'adorazione del Signore nella Sua forma arca. Queste quattro attività riempiranno di gioia chiunque le pratichi. Tutti dovrebbero educare la propria famiglia a seguire questa via. La mattina e la sera tutta la famiglia può riunirsi e cantare Hare Krishna, Hare Krishna, Hare Krishna, Krishna Krishna, Hare Hare / Hare Rama, Hare Rama, Rama Rama, Hare Hare. Colui che può modellare così la sua vita familiare, seguendo questi quattro princìpi e sviluppando la coscienza di Krishna, non ha alcun bisogno di lasciare la famiglia, rinunciare a tutto e accettare il sannyasa, l'ordine di rinuncia. Ma se i legami familiari sono di ostacolo al progresso spirituale non si deve esitare a troncarli. Bisogna, come Arjuna, essere pronti a sacrificare tutto per conoscere e servire Krishna. Arjuna non voleva uccidere i componenti della sua famiglia, ma quando capì che essi rappresentavano un ostacolo alla sua realizzazione spirituale, seguì le istruzioni di Krishna, combatté e li uccise.

In ogni circostanza dobbiamo essere distaccati dalle gioie e dalle sofferenze della vita familiare, perché è impossibile in questo mondo essere completamente felici o completamente infelici. Gioie e dolori vanno di pari passo con l'esistenza materiale; bisogna dunque imparare a tollerarli, come raccomanda la Bhagavad-gita. Gioie e dolori vanno e vengono indipendentemente dalla nostra volontà; conviene quindi staccarsi dalla concezione materiale della vita e diventare equanimi in entrambe le situazioni. Di solito esultiamo quando sopraggiunge un avvenimento desiderabile e ci rattristiamo nel caso contrario, ma sul piano spirituale queste differenti condizioni non ci turberanno più. Per giungere a questo livello occorre diventare inflessibili nella pratica del servizio di devozione; servire Krishna senza deviare significa svolgere le nove attività devozionali (ascoltare, glorificare, ricordarsi, adorare, offrire preghiere, e altre ancora) descritte nell'ultimo verso del nono capitolo. È importante seguire questo metodo.

Quando si abbraccia la vita spirituale diventa addirittura inconcepibile, "contro natura", vivere in compagnia di materialisti. Così ci si può mettere alla prova verificando fino a che punto si desidera vivere in un luogo solitario, lontano da ogni contatto indesiderabile.
Naturalmente, il devoto del Signore perde ogni interesse anche per gli sport futili, il cinema, le riunioni mondane, le manifestazioni sociali e cose simili, perché capisce che non sono altro che una semplice perdita di tempo. Un buon numero di ricercatori e filosofi si occupa oggi di svariati problemi, come la vita sessuale per esempio. Ma la Bhagavad-gita non attribuisce alcun valore a questo genere di ricerche e speculazioni, che sono più o meno tutte assurde. C'incoraggia invece ad approfondire, con l'analisi filosofica, la natura dell'anima, e a sforzarci di scoprire ciò che si riferisce al vero sé.

Per quanto riguarda la realizzazione spirituale, è chiaramente stabilito qui che il bhakti-yoga è la via più pratica. Quando si parla di devozione si deve necessariamente considerare la relazione che unisce l'anima individuale all'Anima Suprema. In realtà l'anima individuale e l'Anima Suprema non possono essere un'unica persona; quest'idea va completamente contro il principio stesso della bhakti, della devozione. La Bhagavad-gita afferma che l'anima individuale è unita all'Anima Suprema da un'eterna (nitya) relazione di servizio; perciò la bhakti, il servizio di devozione, è anch'essa eterna. Senza questa ferma convinzione si perde tempo e si è nell'ignoranza. Lo Srimad-Bhagavatam dichiara, vadanti tat tattva-vidas tattvam yaj jnanam advayam: "Coloro che veramente conoscono la Verità Assoluta sanno che l'Essere Supremo è realizzato in tre aspetti: Brahman, Paramatma e Bhagavan." (S.B. 1.2.11) Bhagavan è Dio, la Persona Suprema, l'aspetto ultimo della Verità Assoluta, il culmine della realizzazione spiritual che si deve raggiungere servendo il Signore con devozione. Questa è la perfezione della conoscenza.

Partendo dall'umiltà per concludersi nella realizzazione della Verità Assoluta, Dio, la Persona Suprema, questa via è come una scala. Numerosi sono coloro che raggiungono i primi gradini, ma se ci si ferma prima di arrivare all'ultimo gradino, che rappresenta la conoscenza di Krishna, si rimarrà a un livello di conoscenza inferiore. Se poi qualcuno vuole competere in grandezza con Dio e tenta allo stesso tempo di avanzare sulla via spirituale, non incontrerà altro che frustrazione. Senza umiltà, la conoscenza diventa pericolosa. Credersi Dio, per esempio, è il massimo dell'orgoglio. L'essere vivente è preso a calci da ogni parte dalle rigide leggi della natura materiale, eppure, per ignoranza, continua ancora a pensare "Io sono Dio!" La conoscenza inizia quindi con l'umiltà, amanitva. Occorre essere umili e riconoscersi subordinati al Signore Supremo, poiché è proprio la nostra ribellione a Lui che ci ha resi schiavi della natura materiale. Dobbiamo conoscere queste verità ed esserne convinti.







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28/05/2009 15:52
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CAPITOLO 14





Le tre influenze della natura materiale





VERSO 1

sri-bhagavan uvaca
param bhuyah pravaksyami
jnananam jnanam uttamam
yaj jnatva munayah sarve
param siddhim ito gatah

sri bhagavan uvaca: Dio, la Persona Suprema, disse; param: trascendentale; bhuyah: di nuovo; pravaksyami: parlerò; jnananam: di tutta la conoscenza; jnanam: conoscenza; uttamam: suprema; yat: che; jnatva: conoscendo; munayah: saggi; sarve: tutti; param: trascendentale; siddhim: perfezione; itah: da questo mondo; gatah: raggiunta.



TRADUZIONE

Dio, la persona suprema, disse:
Ti esporrò di nuovo questa saggezza suprema - la conoscenza più elevata - grazie alla quale tutti i saggi hanno raggiunto la perfezione suprema.



SPIEGAZIONE

Dal settimo capitolo alla fine del dodicesimo, Sri Krishna ha rivelato nei particolari ciò che riguarda la Verità Assoluta, Dio, la Persona Suprema. In questo capitolo il Signore illuminerà ancora di più Arjuna. Colui che comprende con l'analisi filosofica il contenuto di questo capitolo capirà il servizio di devozione. È stato chiaramente spiegato nel tredicesimo capitolo che coltivando con umiltà la conoscenza, l'uomo diventa capace di liberarsi dalle reti della materia, e che l'incatenamento dell'essere al mondo materiale è dovuto al suo contatto con le tre influenze dalla natura materiale e il modo in cui agiscono, incatenando o liberando l'essere. Il Signore afferma che la conoscenza rivelata qui è superiore a quella esposta nei capitolo precedenti. Assimilando questa conoscenza, molti grandi saggi raggiungono la perfezione e sono elevati al mondo spirituale. Il Signore la presenta ora in modo più dettagliato. Poiché questa conoscenza supera tutte le conoscenze finora enunciate e poiché con essa molti uomini raggiungono la perfezione, ci si aspetta che chiunque comprenda questo quattordicesimo capitolo raggiunga anche lui la perfezione.





VERSO 2

idam jnanam upasritya
mama sadharmyam agatah
sarge 'pi nopajayante
pralaye na vyathannti ca

idam: questa; jnanam: conoscenza; upasritya: prendendo rifugio in mama Mia; sadharmyam: stessa natura; agatah: avendo ottenuto; sarge api: anche nella creazione; na: mai; upajayante: sono nati; pralaye: nell'annientamento; na: né; vyathanti: sono disturbati; ca: anche.



TRADUZIONE

Restando fissi in questa conoscenza si può raggiungere la natura trascendentale, che è simile alla Mia. Allora non si nascerà più al momento della creazione né si resterà turbati al momento della dissoluzione.



SPIEGAZIONE

Colui che acquisisce la conoscenza spirituale perfetta si libera dal ciclo di nascite e morti e diventa qualitativamente uguale a Dio, la Persona Suprema. Questo non significa naturalmente, perdere l'individualità, la propria identità di anima distinta. Le Scritture vediche c'informano che le anime liberate che hanno raggiunto i pianeti assoluti del mondo spirituale, servono il Signore Supremo con amore e devozione e tengono sempre il loro sguardo sui Suoi piedi di loto. Perciò anche dopo la liberazione il devoto non perde la propria identità individuale.

Generalmente ogni conoscenza acquisita in questo mondo è contaminata dalle tre influenze della natura materiale. Esiste però una conoscenza che non lo è, ed è detta trascendentale. Appena è situato in questa conoscenza, l'uomo si trova allo stesso livello spirituale della Persona Suprema. Coloro che non hanno conoscenza del mondo spirituale sostengono che dopo essersi liberata dalle attività materiali, dalle attività del corpo, l'anima spirituale perde ogni forma e differenziazione. Invece, la varietà esiste anche nel mondo spirituale, proprio come esiste in questo mondo, ma coloro che lo ignorano credono che l'esistenza spirituale sia incompatibile con la varietà. Nel mondo spirituale tutti hanno una forma spirituale e svolgono attività spirituale che costituiscono l'esistenza spirituale, devozionale. Niente, là è contaminato; ognuno è qualitativamente uguale al Signore Supremo. Per ottenere questa conoscenza l'uomo deve sviluppare in sé tutte le qualità spirituali. Sviluppate queste qualità, non sarà più colpito dalla creazione e dalla distruzione del mondo materiale.





VERSO 3

mama yonir mahad brahma
tasmin garbham dadhamy aham
sambhavah sarva-bhutanam
tato bhavati bharata

mama: Mia; yonih: fonte della nascita; mahat: l'esistenza materiale globale; brahma: suprema; tasmin: in quella; garbham: fecondazione; dadhami: creo; aham: Io; sambhavah: la possibilità; sarva-bhutanam: di tutti gli esseri viventi; tatah: in seguito; bhavati: diventa; bharata: o figlio di Bharata.



TRADUZIONE

La sostanza materiale nella sua totalità, detta Brahman, è la fonte della nascita ed è questo Brahman che Io fecondo rendendo così possibile la nascita di tutti gli esseri viventi, o figlio di Bharata.



SPIEGAZIONE

Questo verso ci spiega il mondo: tutto ciò che vi si trova proviene dall'unione dello ksetra-jna, del corpo e dell'anima spirituale. Questa combinazione della natura materiale con l'essere vivente è resa possibile dal Signore Supremo. Il mahat-tattva costituisce la causa totale dell'intera manifestazione materiale, e poiché la sostanza globale di questa causa comprende le tre influenze della natura, è detta talvolta Brahman, in accordo con le Scritture vediche (Mundaka Upanisad 1.1.9): tasmad etad brahma nama-rupam annam ca jayate. Il Signore Supremo impregna questa sostanza globale, permettendo così la manifestazione d'innumerevoli universi. Egli vi depone gli esseri viventi, che costituiscono il seme. I ventiquattro elementi, a partire dalla terra, l'acqua, il fuoco e l'aria, appartengono tutti all'energia materiale, detta mahad brahma, il grande Brahman, o natura materiale. Al di là di questa natura, come spiega il settimo capitolo, ne esiste un'altra, superiore, che è costituita dagli esseri viventi. Per la volontà di Dio, la Persona Suprema, la natura materiale è impregnata dalla natura superiore, perciò tutti gli esseri viventi nascono da questa natura materiale. La femmina dello scorpione depone le uova in un mucchio di riso, perciò si dice talvolta che lo scorpione nasca dal riso. Ma evidentemente non è il riso a generare lo scorpione, che esce dalle uova deposte dalla madre. Similmente, non è la natura materiale la causa della nascita degli esseri viventi. Sebbene tutti questi esseri sembrino venire dalla natura materiale, in realtà è Dio che ne dà il seme. Così ogni essere ottiene, secondo le sue azioni passate, un determinato corpo, prodotto dalla natura materiale; e da quel momento sempre secondo le sue azioni passate, conosce la gioia e il dolore. Il Signore è dunque la causa della manifestazione degli esseri nel mondo materiale.





VERSO 4

sarva-yonisu kaunteya
murtayah sambhavanti yah
tasam brahma mahad yonir
aham bija-pradah pita

sarva-yonisu: in tutte le specie di vita; kaunteya: o figlio di Kunti; murtayah: forme; sambhavanti: appaiono; yah: che; tasam: di tutte loro; brahma: la suprema; mahat yonih: fonte di nascita nella sostanza materiale; aham: Io; bija-pradah: che dò il seme; pita: padre.



TRADUZIONE

Sappi, o figlio di Kunti, che la vita di tutte le specie è resa possibile dalla nascita in questa natura materiale, e Io sono il padre che dà il seme.



SPIEGAZIONE

È chiaramente spiegato in questo verso che Sri Krishna, Dio la Persona Suprema, è il padre originale di tutti gli esseri viventi, che sono il risultato dell'unione della natura spirituale con quella materiale. Questi esseri non popolano soltanto il nostro pianeta, ma tutti i pianeti dell'universo materiale, fino al più elevato, dove vive Brahma. Gli esseri viventi si trovano dappertutto, nella terra, nell'acqua e persino nel fuoco. Appaiono grazie alla natura materiale, la madre, che dà il seme. Introdotti nell'universo materiale al momento della creazione, gli esseri si manifestano e si rivestono ognuno di un corpo particolare determinato dalle loro azioni passate.





VERSO 5

sattvam rajas tama iti
gunah prakriti-sambhavah
nibadhnanti maha-baho
dehe dehinam avyayam

sattvam: l'influenza della virtù; rajah: l'influenza della passione; tamah: l'influenza dell'ignoranza; iti: così; gunah: le influenze; prakriti: natura materiale; sambhavah: prodotti di; nibadhnanti: condizionano; maha-baho: o Arjuna dalle braccia potenti; dehe: in questo corpo; dehinam: l'essere vivente; avyayam: eterno.



TRADUZIONE

La natura materiale è formata da tre influenze: virtù, passione e ignoranza. O Arjuna dalle potenti braccia, quando l'essere vivente entra in contatto con la natura materiale subisce il condizionamento di queste tre influenze.



SPIEGAZIONE

Poiché la sua essenza è spirituale, l'essere vivente non ha niente in comune con la natura materiale. Tuttavia, quando è condizionato dalla natura materiale deve agire sotto il dominio delle tre influenze materiali. Gli esseri condizionati, infatti, sono dotati di corpi differenti, che corrispondono ai diversi aspetti della natura, e sono portati perciò ad agire secondo questa natura. Di qui nasce la varietà di gioie e di sofferenze che essi provano.





VERSO 6

tatra sattvam nirmalatvat
prakasakam anamayam
sukha-sangena badhnati
jnana-sangena canagha

tatra: là; sattvam: l'influenza della virtù; nirmalatat: essendo il più puro del mondo materiale; prakasakam: illuminando; anamayam: senza alcuna reazione colpevole; sukha: con felicità; sangena: per il contatto; badhnati: condiziona; jnana: con conoscenza; sangena: per il contatto; ca: anche; anagha: o Arjuna senza peccato.



TRADUZIONE

O Arjuna senza peccato, l'influenza della virtù, che è più pura delle altre, illumina l'essere e lo libera dalle conseguenze di tutte le sue colpe. Chi subisce il suo influsso è condizionato da un senso di felicità e di conoscenza.



SPIEGAZIONE

Gli esseri condizionati dalla sua natura materiale hanno caratteristiche e situazioni ben diverse. Alcuni sono attivi, altri felici, altri ancora disperati; e questi differenti stati psicologici determinano il loro condizionamento. La Bhagavad-gita spiega qui i diversi modi in cui gli esseri sono condizionati, cominciando dalla condizione prodotta dalla virtù. L'uomo condizionato dalla virtù sviluppa una saggezza superiore a quella degli uomini condizionati in altro modo. Non è molto colpito dalle sofferenze in questo mondo ed è consapevole dei suoi progressi nella conoscenza materiale. Il brahmana ne è l'esempio perfetto. E se l'uomo situato nella virtù prova un senso di felicità, ciò deriva dalla sua consapevolezza di essere più o meno libero dalle conseguenze dei suoi peccati. Le Scritture vediche confermano inoltre che l'influsso della virtù porta una conoscenza più approfondita e una sensazione più intensa di felicità.

La difficoltà che presenta la virtù, purtroppo, è quella di credersi avanzati nella conoscenza e quindi superiori agli altri, il che costituisce di nuovo una forma di condizionamento. Filosofi e scienziati ne sono l'esempio più evidente; ognuno di loro si sente molto orgoglioso della conoscenza che ha acquisito, e poiché di solito le loro condizioni esistenziali migliorano, provano una specie di felicità materiale. Questo senso di piacere elevato di cui essi godono nella vita condizionata li lega, attraverso la virtù, all'esistenza materiale. Si sentono quindi attratti dalle attività che derivano da questa virtù, finché sussisterà quest'attrazione dovranno rivestirsi, alla morte, di un altro corpo materiale. Per queste persone non c'è neppure la minima speranza di liberazione o di trasferimento nel mondo spirituale. Vita dopo vita potranno diventare filosofi, scienziati o poeti, e altrettante volte rimanere coinvolti nelle stesse disgrazie, quelle della nascita e della morte. Ma in preda all'illusione materiale continueranno a credere che tale vita sia piacevole.





VERSO 7

rajo ragatmakam viddhi
trisna-sanga-samudbhavam
tan nibadhnati kaunteya
karma-sangena dehinam

rajah: l'influenza della passione; raga-atmakam: nata dal desiderio o dalla lussuria; viddhi: sappi; trisna: con bramosia; sanga: compagnia; samud-bhavam: prodotta da; tat: ciò; nibadhnati: lega; kaunteya: o figlio di Kunti; karma-sangena: per il contatto con l'attività interessata; dehinam: l'anima incarnata.



TRADUZIONE

L'influenza della passione nasce da desideri illimitati e ardenti, o figlio di Kunti. Essa lega l'anima incarnata all'azione materiale e ai suoi frutti.



SPIEGAZIONE

L'influenza della passione è caratterizzata dall'attrazione che l'uomo e la donna esercitano l'uno sull'altra. La donna è attratta dall'uomo e l'uomo dalla donna. Questo è l'effetto della passione. E quando l'influenza della passione aumenta, con essa aumenta il desiderio di godere della materia, di godere dei sensi materiali. L'uomo dominato dalla passione, per essere soddisfatto, vuole ricevere gli onori della società o della patria, aspira a una vita familiare felice, con dei bei figli, una brava moglie e una casa comoda. Questi sono i frutti della passione; ma finché cerca questi frutti, l'uomo per ottenerli, deve lavorare duramente. Perciò è detto chiaramente nel verso che gustando questi frutti, l'uomo rimane imprigionato dalle sue azioni. Per soddisfare la moglie, i figli e la società, e per mantenere nel verso che gustando questi frutti, l'uomo rimane imprigionato dalle sue azioni. Per soddisfare la moglie, i figli e la società, e per mantenere la sua reputazione, l'uomo deve lavorare. Si può vedere dunque come l'intero mondo materiale sia più o meno dominato dalla passione. E se la civiltà moderna è considerata avanzata, è perché oggi il criterio del progresso è basato sulla passione. Un tempo, invece, una civiltà era considerata avanzata quando era situata nella virtù. Se non c'è la liberazione per le persone guidate dalla virtù, che dire di quelle prigioniere della passione?





VERSO 8

tamas tv ajnana-jam viddhi
mohanam sarva-dehinam
pramadalasya-nidrabhis
tan nibadhnati bharata

tamah: l'influenza dell'ignoranza; tu: ma; ajnana-jam: prodotti dell'ignoranza; viddhi: sappi; mohanam: l'illusione; sarva-dehinam: di tutti gli esseri incarnati; pramada: con pazzia; alasya: indolenza; nidrabhih: e sonno; tat: ciò; nibadhnati: lega; bharata: o figlio di Bharata.



TRADUZIONE

O discendente di Bharata, sappi che l'influenza delle tenebre, nata dall'ignoranza, è causa d'illusione per tutti gli esseri incarnati. La pazzia, l'indolenza e il sonno, che legano l'anima condizionata, sono il risultato di questa influenza.



SPIEGAZIONE

In questo verso l'uso del termine tu, "ma", è molto significativo. Indica che fra tutti i condizionamenti che gravano sugli esseri incarnati quello dell'ignoranza è il più pesante. Questa influenza è esattamente il contrario della virtù. Coltivando la conoscenza, gli esseri guidati dalla virtù possono vedere le cose nella loro realtà, ma quelli avvolti dall'ignoranza sono trascinati alla pazzia, e un pazzo non può vedere le cose nella loro giusta luce. Invece di progredire, chi è dominato dall'ignoranza si degrada. Le Scritture vediche ci danno la definizione dell'ignoranza dicendo che il suo influsso impedisce di capire le cose così come sono. Vastu-yathatmya-jnanavarakam viparyaya-jnana-janakam tamah. Per esempio, tutti gli uomini visto i propri nonni morire, dovrebbero dedurre quindi che anche loro, come i loro figli, un giorno moriranno; l'uomo, dunque, è mortale.

La morte è sicura, eppure continuano freneticamente ad accumulare denaro lavorando duramente giorno e notte senza mai preoccuparsi dell'anima eterna. Questa è la loro follia. E in questa folle corsa sono riluttanti all'idea di ampliare la loro comprensione spirituale. Questi uomini sono molto pigri. Quando sono invitati a lasciarsi istruire sulle questioni spirituali, manifestano scarso interesse.
Non sono neppure attivi come gli uomini dominati dalla passione. Infatti, un'altra loro caratteristica è che dormono più del necessario, dieci o dodici ore al giorno, quando sei ore sono sufficienti. Hanno sempre l'aria depressa e si abbandonano agli intossicanti e al sonno. Questi sono i sintomi degli uomini condizionati dall'ignoranza.





VERSO 9

sattvam sukhe sanjayati
rajah karmani bharata
jnanam avritya tu tamah
pramade sanjayaty uta

sattvam: l'influenza della virtù; sukhe: nella felicità; sanjayati: lega; rajah: l'influenza della passione; karmani: nell'attività interessata; bharata: o discendente di Bharata; jnanam: conoscenza; avritya: coprendo; tu: ma; tamah: l'ignoranza; pramade: nella pazzia; sanjayati: si sviluppa; uta: è detto.



TRADUZIONE

O discendente di Bharata, la virtù condiziona l'uomo alla felicità, la passione lo condiziona ai frutti dell'azione, e l'ignoranza, coprendo la conoscenza, lo vincola alla pazzia.



SPIEGAZIONE

Gli uomini guidati dalla virtù sono soddisfatti delle loro attività, delle . loro ricerche intellettuali; filosofi, scienziati, educatori sono tutti soddisfatti delle loro occupazioni nei diversi rami del sapere. Coloro che sono dominati dalla passione si dedicano talvolta all'azione interessata; accumulano più ricchezze possibili e le spendono per delle buone cause. A volte cercano di fondare ospedali, di delvolvere le loro ricchezze a istituti di beneficenza, e così via: questi sono i segni della passione. Quanto all'ignoranza, essa copre la conoscenza dell'essere. Le azioni dell'uomo dominato da questa influenza non possono portare nulla di buono, né a lui né agli altri.





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VERSO 10

rajas tamas cabhibhuya
sattvam bhavati bharata
rajah sattvam tamas caiva
tamah sattvam rajas tatha

rajah: l'influenza della passione; tamah: l'influenza dell'ignoranza; ca: anche; abhibhuya: superando; sattvam: l'influenza della virtù; bhavati: diventa preminente; bharata: o discendente di Bharata; rajah: l'influenza della passione; sattvam: l'influenza della virtù; tamah: l'influenza dell'ignoranza; ca: anche; eva: così; tamah: l'influenza dell'ignoranza; sattvam: l'influenza della virtù; rajah: l'influenza della passione; tatha: così.



TRADUZIONE

Talvolta l'influenza della virtù prevale e sconfigge l'influenza della passione e dell'ignoranza. Talvolta è l'influenza della passione a sconfiggere virtù e ignoranza, e altre volte l'ignoranza sconfigge virtù e passione. Così, o discendente di Bharata, questa lotta per il sopravvento non ha mai fine.



SPIEGAZIONE

A volte la passione domina sulla virtù e sull'ignoranza, a volte è la virtù ad avere il sopravvento sulla passione e sull'ignoranza, altre volte ancora è l'ignoranza che vince virtù e passione. Questa "competizione" tra le influenze della natura materiale è costante, perciò chi desidera veramente progredire nella coscienza di Krishna deve superarle tutt'e tre. Il predominio di una particolare influenza su un uomo si manifesta attraverso i suoi rapporti con gli altri, le sue attività, il suo modo di nutrirsi, e così via. I prossimi capitoli svilupperanno questo argomento. Ma è possibile, con la pratica sviluppare la virtù e sconfiggere così la passione e l'ignoranza; oppure si può sviluppare la passione e sconfiggere la virtù e l'ignoranza, o ancora si può sviluppare l'ignoranza e sconfiggere così la virtù e la passione. Nonostante la presenza di queste tre influenze, se si è determinati si possono ricevere le benedizioni della virtù, poi superarla per situarsi nella virtù pura e raggiungere ciò che si chiama il "livello vasudeva", dal quale si può comprendere la scienza di Dio. In conclusione, studiando le attività di una persona si potrà capire da quale influenza è dominata.




CAPITOLO 15





Lo yoga della Persona Suprema





VERSO 1

sri-bhagavan uvaca
urdhva-mulan adhah-sakham
asvattham prahur avyayam
chandamsi yasya parnani
yas tam veda sa veda-vit

sri-bhagavan uvaca: Dio, la Persona Suprema, disse; urdhva-mulam: con radici nella parte superiore; adhah: verso il basso; sakham: rami; asvattham: un albero baniano; prahuh: è detto; avyayam: eterno; chandamsi: gli inni vedici; yasya: di cui; parnani: le foglie; yah: chiunque; tam: ciò; veda: sappia; sah: egli; veda-vit: il conoscitore dei Veda.



TRADUZIONE

Dio, la Persona Suprema, disse:
Esiste un albero baniano che è eterno e ha le radici che si dirigono verso l'alto e i rami verso il basso; le sue foglie sono gli inni vedici. Chi conosce quest'albero conosce i Veda.



SPIEGAZIONE

Dopo la dimostrazione dell'importanza del bhakti-yoga, alcuni potrebbero chiedersi qual'è il valore dei Veda. Questo capitolo spiega con esattezza che l'unico scopo dello studio dei Veda è quello di comprendere Krishna. Perciò chi è situato nella coscienza di Krishna, nel servizio di devozione, conosce già i Veda.
Questo verso paragona il labirinto dell'universo materiale a un albergo baniano. L'uomo che è dedito alle attività interessate non trova via d'uscita; erra senza posa da un ramo all'altro, e poiché è attaccato all'albero, non può liberarsene. Gli inni vedici, che hanno lo scopo di elevare gli uomini, sono le foglie di questo albero. E le radici, poiché si diramano dal pianeta di Brahma, il più evoluto dell'universo, si dirigono verso l'alto. Chi riesce a conoscere questo indistruttibile albero dell'illusione saprà anche come liberarsene.

Occorre capire bene questa via di liberazione. I capitoli precedenti indicavano numerosi metodi con cui l'uomo può liberarsi dai grovigli della materia; e tutti questi capitoli, fino al tredicesimo, hanno presentato il servizio devozionale come il metodo migliore. Il principio fondamentale del servizio di devozione è il distacco dagli atti materiali e l'attaccamento al trascendentale servizio offerto al Signore. L'inizio di questo capitolo spiega dunque come l'uomo può troncare i legami che lo trattengono al mondo della materia. La radice dell'esistenza materiale cresce verso l'alto; ciò significa che ha origine dall'intera sostanza materiale, e dal pianeta più alto si dirama in tutto l'universo, con innumerevoli rami, che rappresentano i diversi sistemi planetari. I frutti di questo albero rappresentano i risultati delle attività compiute dagli esseri, cioè la religiosità, lo sviluppo economico, il piacere dei sensi e la liberazione.

Crediamo di non aver mai visto, in questo mondo, un albero coi rami in basso e le radici in alto, eppure esiste. Lo si può vedere vicino a una distesa d'acqua. Gli alberi sulla sponda si riflettono nell'acqua coi rami in basso e le radici in alto. In altre parole, l'albero vero, che è il mondo spirituale. Come il riflesso dell'albero riposa sull'acqua, così quello del mondo materiale riposa sul desiderio materiale. Infatti è proprio questo desiderio a farci vedere le cose come appaiono nella luce riflessa del mondo materiale. Chi vuole sfuggire all'esistenza materiale deve imparare a conoscere quest'albero in profondità, con uno studio analitico; soltanto allora potrà spezzare i legami che lo tengono prigioniero.

Quest'albero del mondo materiale, essendo il riflesso dell'albero vero, ne è una copia esatta. La varietà, presente nell'universo materiale, esiste anche nel mondo spirituale. Gli impersonalisti considerano il Brahman la radice dell'albero materiale; e dalla radice, secondo la filosofia sankhya, derivano la prakriti, il purusa, i tre guna, i cinque elementi grossolani (panca-maha-bhuta), i dieci "sensi" (dasendriya), la mente e gli altri elementi materiali. In questo modo essi compongono l'intero mondo materiale in ventiquattro elementi. Se il Brahman è la radice significa che si trova alla congiunzione dell'albero riflesso con quello reale. Ne consegue che il mondo spirituale e quello materiale formano un cerchio che ha il Brahman come centro; centottanta gradi di questo cerchio abbracciano il mondo materiale, e gli altri centottanta, il mondo spirituale, la varietà del mondo spirituale costituisce la realtà. La prakriti è l'energia esterna del Signore Supremo, e il purusa è il Signore Supremo in persona, come insegna la Bhagavad-gita. Il mondo in cui viviamo è materiale, quindi temporaneo, perché ogni riflesso non può essere che effimero, talvolta manifestato e talvolta no. Ma l'origine del riflesso dell'albero materiale, cioè l'albero vero, è eterno. Bisogna abbattere il riflesso materiale dell'albero vero. In realtà, solo l'uomo che sa troncare i legami che lo trattengono al mondo materiale può dire di conoscere i Veda. Invece colui che è attratto dai riti dei Veda, le belle foglie verdi dell'albero materiale, ignora il vero fine dei Veda che, come rivela il Signore Supremo in persona, è quello di abbattere l'albero riflesso, per raggiungere l'albero vero, il mondo spirituale.





VERSO 2

adhas cordhvam prasritas tasya sakha
guna-pravriddha visaya-pravalah
adhas ca mulany anusantatani
karmanubandhini manusya-loke

adhah: verso il basso; ca: e; urdhvam: verso l'alto; prasritah: estese; tasya: suoi; sakhah: rami; guna: dalle influenze della natura materiale; pravriddhah: sviluppati; visaya: gli oggetti dei sensi; pravalah: rami; adhah: verso il basso; ca: e; mulani: radici; anusantatani: estese; karma: all'attività; anubandhini: legate; manusya-loke: nel mondo della società umana.



TRADUZIONE

Nutriti dalle tre influenze della natura materiale, i rami di quest'albero si estendono verso il basso e verso l'alto; le fronde sono gli oggetti dei sensi. Alcune radici dell'albero scendono anche verso il basso e sono legate alle attività interessate compiute nella società umana.



SPIEGAZIONE

In questo verso continua la descrizione dell'albero baniano. I suoi rami si estendono in tutte le direzioni. Sui rami inferiori si trovano varie manifestazioni di esseri, come uomini, bestie, cavalli, mucche, cani, gatti e così via, mentre sui rami superiori si trovano specie più evolute come gli esseri celesti, i Gandharva e numerose altre. Come un albero è nutrito dall'acqua, così quest'albero del mondo materiale è nutrito dalle tre influenze della natura materiale. Dove l'acqua manca, le terre sono aride e desolate, mentre altrove cresce una vegetazione rigogliosa; similmente, le specie di esseri viventi si manifestano più o meno abbondanti secondo l'intensità delle influenze materiali.

Le fronde dell'albero materiale rappresentano gli oggetti dei sensi. Esponendosi alle influenze della natura materiale, l'essere acquisisce un particolare tipo di sensi con cui gode di una vasta gamma di oggetti dei sensi. Le cime dei rami sono i sensi - gli orecchi, il naso, gli occhi, ecc. - che sono attratti a godere dei differenti oggetti dei sensi. Le fronde sono gli oggetti dei sensi - il suono, la forma, il tatto, il sapore e l'odore. Le radici sussidiarie rappresentano i sottoprodotti che derivano dai vari tipi di dolore e piacere dei sensi. Così l'essere sviluppa attaccamento e avversione. Le radici secondarie, che si estendono in tutte le direzioni, costituiscono le tendenze dell'essere a volgersi verso la virtù o verso l'empietà. La radice principale dell'albero materiale parte da Brahmaloka, le altre radici affondano nei sistemi planetari popolati dagli uomini. Dopo aver goduto, sui pianeti superiori dei frutti delle sue attività virtuose, l'uomo dovrà tornare sulla Terra e rinnovare il suo karma, cioè compiere ancora attività interessate per elevarsi di nuovo. Perciò la Terra è considerata il campo d'azione.





VERSI 3-4

na rupam asyeha tathopalabhyate
nanto na cadir na ca sampratistha
asvattham enam su-virudha-mulam
asanga-sastrena dridhena chittva

tatah padam tat parimargitavyam
yasmin gata na nivartanti bhuyah
tam eva cadyam purusam prapadye
yatah pravrittih prasrita purani

na: non; rupam: la forma; asya: di quest'albero; iha: in questo mondo; tatha: anche; upalabhyate: può essere percepita; na: mai; antah: fine; na: mai; ca: anche; adih: inizio; na: mai; ca: anche; sampratistha: la base; asvattham: albero baniano; enam: questo; su-virudha: fortemente; mulam: radicato; asanga-sastrena: con l'arma del distacco; dridhena: forte; chittva: tagliando; tatah: in seguito; padam: situazione; tat: quelle; parimargitavyam: dev'essere cercata; yasmin: dove; gatah: andando; na: mai; nivartanti: ritornano; bhuyah: di nuovo; tam: a Lui; eva: certamente; ca: anche; adyam: originale; purusam: Dio, la Persona Suprema; prapadye: abbandono; yatah: da chi; pravrittih: l'inizio; prasrita: esteso; purani: molto antico.



TRADUZIONE

La vera forma di quest'albero non può essere percepita in questo mondo. Nessuno può vederne la fine, l'inizio o la base. Tuttavia si deve abbattere con determinazione quest'albero così profondamente radicato usando l'arma del distacco. In seguito si deve cercare quel luogo dal quale, dopo averlo raggiunto, non si torna più indietro. Là ci si deve arrendere a Dio la Persona Suprema, perché da Lui ogni cosa ha inizio e in Lui ogni cosa dimora fin da tempo immemorabile.



SPIEGAZIONE

È chiaramente detto in questo verso che la forma esatta di questo albero baniano non può essere percepita nel mondo materiale. Poiché le sue radici sono in alto, l'albero si estende verso il basso, ma nessuno può vedere la fine o l'inizio. Eppure dobbiamo trovarne la causa. Se facciamo una ricerca sull'identità di nostro padre, del padre di nostro padre e così via, potremo risalire fino a Brahma, che a sua volta è generato da Garbhodakasayi Visnu. Così si arriverà a Dio, la Persona Suprema, che è la fine di ogni ricerca. Bisogna ricercare l'origine dell'albero materiale, cioè Dio la Persona Suprema, attraverso la compagnia dei saggi che Lo conoscono. Poi, quando capiremo questo ingannevole riflesso della realtà potremo distaccarcene sempre più; con la conoscenza potremo troncare il legame che ci tiene all'albero dell'illusione e stabilirci nel vero albero. Il termine asanga (distacco), in questo verso, è molto importante se si considera quant'è forte l'attaccamento al piacere dei sensi e al desiderio di dominare la natura materiale. Si deve quindi imparare il distacco approfondendo la scienza della spiritualità su Scritture autentiche, e ascoltando gli insegnamenti di persone realmente situate nella conoscenza. Queste conversazioni con i devoti faranno volgere il nostro interesse verso il Signore Supremo; allora la prima cosa da fare sarà quella di abbandonarsi a Lui.

Il verso c'informa dell'esistenza di un luogo da cui, una volta che l'abbiamo raggiunto, non si torna mai più all'albero riflesso, l'albero illusorio. Krishna, la Persona Suprema, è la radice originale da cui tutto è emanato, e per ottenere la Sua grazia basta abbandonarsi a Lui, il che è reso possibile dalla pratica del servizio di devozione (ascoltare le glorie del Signore, cantarle, e così via). La causa dello sviluppo dell'universo materiale è il Signore, come Egli stesso spiega nella Bhagavad-gita, aham sarvasya prabhavah: "Io sono l'origine di ogni cosa."
Perciò, l'uomo che desidera sfuggire ai grovigli di quest'albero possente dell'esistenza materiale deve abbandonarsi a Krishna, e otterrà subito, in modo del tutto naturale.





VERSO 5

nirmana-moha jita-sanga-dosa
adhyatma-nitya vinivritta-kamah
dvandvair vimuktah sukha-duhkha-samjnair
gacchanty amudhah padam avyayam tat

nih: senza; mana: falso prestigio; mohah: e illusione; jita: avendo conquistato; sanga: di compagnia; dosah: gli errori; adhyatma: nella conoscenza spirituale; nityah: nell'eternità; vinivritta: svincolati; kamah: dalla lussuria; dvandvaih: dalle dualità; vimuktah: liberati; sukha-duhkha: felicità e dolore; samjnaih: definiti; gacchanti: raggiungono; amudhah: libera dalla perplessità; padam: situazione; avyayam: eterna; tat: quella.



TRADUZIONE

Coloro che sono liberi dal falso prestigio, dall'illusione e dalle false relazioni, che comprendono l'eterno, che hanno chiuso con la lussuria materiale e hanno superato la dualità della gioia e del dolore, senza perplessità sanno come arrendersi alla Persona Suprema, raggiungono questo regno eterno.



SPIEGAZIONE

La via dell'abbandono alla Persona Suprema è qui descritta con precisione. La prima condizione è quella di non lasciarsi prendere dall'orgoglio. Infatti, l'essere condizionato ha molta difficoltà ad abbandonarsi al Signore Supremo a causa del suo orgoglio, che gli fa credere di essere il padrone della natura materiale. Coltivando la conoscenza spirituale, l'uomo deve imparare che la natura materiale non è sotto il suo controllo, ma sotto il controllo di Dio, la Persona Suprema. Soltanto chi è libero dall'illusione generata dall'orgoglio può incamminarsi sulla via dell'abbandono al Signore Supremo. Non è possibile, infatti, abbandonarsi a Dio quando si ricerca, in questo mondo, l'ammirazione degli uomini. L'orgoglio nasce dall'illusione, poiché sebbene l'uomo venga in questo mondo per rimanervi solo un tempo molto breve, è così stupido da credersi padrone del mondo. Così complica le cose e va incontro a una difficoltà dopo l'altra.

Il mondo intero è mosso da questo desiderio di dominare, che è presente in tutti gli esseri. Nell'illusione di essere il proprietario del suolo terrestre, l'uomo ha diviso tutto il pianeta, ma se si libera da questa sensazione ingannevole che il mondo è di sua proprietà, allora sarà libero anche da tutte le false relazioni, nate dall'affetto per la famiglia, la società e la nazione. Queste false relazioni lo legano al mondo materiale. Superato questo stadio, dovrà coltivare la conoscenza spirituale, che gli permetterà di conoscere ciò che gli appartiene veramente e ciò che non gli appartiene. Poi, quando comprenderà le cose come sono, si libererà da tutte le dualità come la felicità e la sofferenza, la gioia e il dolore, diventerà pieno di conoscenza e potrà abbandonarsi a Dio, la Persona Suprema.




[Modificato da Freeflow@ 28/05/2009 16:00]

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VERSO 6

na tad bhasayate suryo
na sasanko na pavakah
yad gatva na nivartante
tad dhama paramam mama

na: non; tat: ciò; bhasayate: illumina; suryah: il sole; na: né; sasankah: la luna; na: né; pavakah: fuoco, elettricità; yat: dove; gatva: andando; na: mai; nivartante: si torna indietro; tat dhama: quella dimora; paramam: suprema; mama: Mio.



TRADUZIONE

Questa Mia suprema dimora non è illuminata né dal sole né dalla luna né dal fuoco o dall'elettricità. Coloro che la raggiungono non tornano mai più in questo mondo.



SPIEGAZIONE

Questo verso descrive il mondo spirituale, dove si trova Krishnaloka, o Goloka Vrindavana, la dimora Krishna, Dio, la Persona Suprema. Nel mondo spirituale non c'è alcun bisogno della luce del sole o della luna, del fuoco o dell'elettricità, perché tutti i pianeti spirituali irradiano luce propria, al contrario dell'universo materiale, dove soltanto il sole ha questo potere. L'abbagliante sfolgorio dei pianeti spirituali, i pianeti Vaikuntha, costituisce "l'atmosfera" radiante chiamata brahmajyoti. Questa radiosità emana in origine dal pianeta di Krishna, Goloka Vrindavana. Una porzione di questa radiosità è coperta dal mahat-tattva, il mondo materiale, ma la maggior parte è occupata da innumerevoli pianeti spirituali, i Vaikunthaloka, di cui il principale è Goloka Vrindavana.

Finché l'essere rimarrà nel mondo materiale, dove regnano le tenebre, sarà condizionato dalla materia, ma appena raggiungerà "l'atmosfera" spirituale, passando attraverso l'albero distorto di questo mondo, sarà liberato. Allora non tornerà più nell'universo materiale. Quando è condizionato, l'essere si crede il padrone del mondo; ma una volta liberato entra nel regno spirituale, dove potrà vivere nella compagnia del Signore. Godrà allora della vita eterna, della felicità eterna e della perfetta conoscenza.

L'uomo deve sentirsi attratto ad ascoltare queste descrizioni. Deve avere il desiderio di entrare nel mondo eterno e sfuggire all'albero materiale, riflesso ingannevole della realtà. Chi mantiene troppi attaccamenti per il mondo materiale troverà grandi difficoltà a troncare questi legami, ma se adotta la coscienza di Krishna potrà gradualmente riuscirci. Si deve ricercare la compagnia dei devoti, delle persone che sono situate nella coscienza di Krishna. È consigliabile quindi unirsi a un'associazione votata alla coscienza di Krishna e imparare a servire il Signore con devozione: in questo modo si possono spezzare gli attaccamenti che legano al mondo materiale. Vestirsi di arancione¹ non è sufficiente a generare il distacco dai desideri materiali; bisogna attaccarsi al servizio di devozione offerto al Signore. Si deve dunque considerare con molta serietà il fatto che il servizio di devozione, così com'è descritto nel dodicesimo capitolo, è l'unica via che conduce fuori da questo riflesso ingannevole dell'albero reale. Il quattordicesimo capitolo ha mostrato come le differenti vie seguite dall'uomo siano tutte offuscate dalle tre influenze della natura materiale; soltanto il servizio di devozione è stato descritto come completamente trascendentale.

Le parole paramam mama in questo verso hanno una grande importanza. In realtà, ogni angolo del mondo spirituale e del mondo materiale è di proprietà del Signore, ma il mondo spirituale, dove regnano le sei perfezioni, è paramam, la Sua proprietà suprema. Anche la Katha Upanisad conferma che il mondo spirituale non ha alcun bisogno della luce del sole, della luna o delle stelle (na tatra suryo bhati na candratarakam), essendo completamente illuminato dalla potenza interna del Signore Supremo. Questa dimora suprema può essere raggiunta solo con l'abbandono al Signore Supremo e in nessun altro modo.





VERSO 7

mamaivamso jiva-loke
jiva-bhutah sanatanah
manah-sasthanindriyani
prakriti-sthani karsati

mama: Mia; eva: certamente; amsah: frammento infinitesimale; jiva-loke: nel mondo della vita condizionata; jiva-bhutah: l'essere vivente condizionato; sanatanah: eterno; manah: con la mente; sasthani: i sei; indriyani: sensi; prakriti: nella natura materiale; sthani: situato; karsati; lotta duramente.



TRADUZIONE

Gli esseri viventi, in questo mondo di condizioni, sono i Miei frammenti eterni, ma essendo condizionati lottano duramente con i sei sensi, tra cui la mente.



SPIEGAZIONE

Questo verso definisce chiaramente l'identità dell'essere individuale. L'essere è per l'eternità un frammento infinitesimale del Signore Supremo. Non cadiamo nell'errore di credere che allo stato liberato perderà l'individualità per diventare una sola persona col Signore. Per l'eternità l'essere rimane un frammento del Signore, come conferma chiaramente qui il termine sanatanah. Secondo le Scritture vediche, il Signore Supremo Si manifesta e Si moltiplica in innumerevoli emanazioni, di cui le più immediate si chiamano visnu-tattva e le secondarie jiva-tattva. In altre parole, le manifestazioni visnu-tattva, o emanazioni immediate, sono emanazioni personali del Signore; mentre le manifestazioni jiva-tattva, o secondiarie (gli esseri individuali), sono emanazioni personali di Dio, la Persona Suprema, le Sue identità individuali, esistono eternamente; come loro, anche le emanazioni distinte, gli esseri viventi (jiva-tattva), hanno un'individualità eterna.

Essendo parti integranti del Signore, gli esseri individuali possiedono, in quantità infinitesimale, i Suoi attributi, tra i quali l'indipendenza. Ogni essere è un'anima distinta, provvista d'individualità e di una minima parte d'indipendenza. Se l'essere fa cattivo uso di questa indipendenza cade allo stato condizionato, se ne fa buon uso rimane per sempre allo stato liberato. Ma in entrambi i casi mantiene la sua eternità qualitativa, come il Signore, che è eterno. Allo stato liberato, l'essere è al di là delle condizioni materiali ed è pienamente impegnato nel trascendentale servizio del Signore; allo stato condizionato, invece, è dominato dalle tre influenze della natura materiale e dimentica il servizio di devozione al Signore. Deve allora lottare duramente, anche solo per mantenere la propria vita nel mondo materiale.

Gli esseri viventi, e non solo gli uomini, i cani, i gatti e gli altri animali, ma anche i più grandi capi dell'universo, come Brahma, Siva, e perfino Visnu, sono tutti parti integranti del Signore Supremo. Sono tutti eterni, non sono manifestazioni temporanee. Il termine karsati ("lottare duramente") usato in questo verso è molto significativo. L'anima condizionata è legata alla materia dai vincoli del falso ego, che sono simili a catene d'acciaio. E tra gli agenti che trascinano l'anima nell'esistenza materiale, la mente è il più importante. Quando la mente è guidata dalla virtù gli atti si rivelano giusti; quando invece la mente è dominata dalla passione, gli atti diventano fonte d'angoscia; e quando la mente è avvolta dall'ignoranza, l'anima deve vagare nelle specie inferiori di vita. È chiaro, tuttavia, in questo verso, che l'anima condizionata è coperta dal corpo materiale, che include i sensi e la mente; dopo la liberazione questo involucro materiale perisce, e il corpo spirituale dell'essere si manifesta col suo vero carattere.

A questo proposito, nel Madhyandinayana-sruti è detto: sa va esa brahma-nistha idam sariram martyamatisrijya brahmabhisampadya brahmana pasyati brahmanaivedam sarvam anubhavati. Questo verso spiega che quando l'anima lascia il corpo materiale per entrare nel mondo spirituale, ravviva il suo corpo spirituale col quale può vedere a tu per tu Dio, la Persona Suprema, può ascoltarLo, parlarGli direttamente e conoscerLo così com'è. La smriti informa inoltre che tutti gli esseri, sui pianeti spirituali, sono dotati di corpi che hanno un aspetto simile a quello del Signore Supremo (vasanti yatra purusah sarve vaikunha-murtayah). Perciò che riguarda la natura dei corpi spirituali, non c'è nessuna differenza tra le emanazioni jiva-tattva, cioè gli esseri individuali, e le emanazioni visnu-murti. In altre parole, una volta liberato, l'essere individuale ottiene per la grazia di Dio, la Persona Suprema, un corpo spirituale.

Il termine mamaivamsah ("frammenti infinitesimali del Signore Supremo") è anch'esso molto significativo. Naturalmente un frammento del Signore non è come un frammento di un oggetto materiale che si è rotti in tanti pezzi. Il secondo capitolo ci ha spiegato che ciò che è spirituale non può mai essere diviso o rotto in pezzi. I frammenti di cui parla questo verso non sono intesi in modo materiale; essi non derivano, come i frammenti di un oggetto materiale, dalla divisione di un oggetto, che si potrebbe poi ricomporre. L'uso qui del termine sanscrito sanatana ("eterno") ci toglie ogni dubbio: i frammenti del Signor sono eterni. L'inizio del secondo capitolo affermava inoltre che un frammento infinitesimale del Signore Supremo risiede in ogni corpo (dehino 'smin yatha dehe). Quando questo frammento è libero dalla schiavitù del corpo materiale, ravviva il suo corpo spirituale, nel mondo spirituale, su un pianeta spirituale, e può godere della compagnia del Signore. Essendo parte infinitesimale del Signore Supremo, l'essere individuale è qualitativamente uguale a Lui, come pepite estratte da una miniera d'oro sono anch'esse oro.





VERSO 8

sariram yad avapnoti
yac capy utkramatisvarah
grihitvaitani samyati
vayur gandhan ivasayat

sariram: il corpo; yat: come; avapnoti: riceve; yat: come; ca api: anche; utkramati: abbandona; isvarah: il signore del corpo; grihitva: prendendo; etani: tutti questi; samyati: se ne va; vayuh: l'aria; gandhan: odora; iva: come; asayat: dalla sua fonte.



TRADUZIONE

Come l'aria trasporta gli odori, così l'essere vivente, nel mondo materiale, trasporta da un corpo all'altro le sue diverse concezioni di vita. Così si riveste di una forma corporea, poi di nuovo l'abbandona per prenderne un'altra.



SPIEGAZIONE

L'essere vivente è chiamato qui isvara, il controllore del proprio corpo. Infatti, secondo il suo desiderio, può rivestirsi di un corpo più evoluto o trasmigrare in un corpo inferiore. L'essere gode di una certa indipendenza, anche se infinitesimale, perciò diventa responsabile del corpo che assumerà nella prossima vita. Al momento della morte, lo stato di coscienza che si è formato durante la vita determinerà il suo prossimo corpo. Se si è creato una coscienza simile a quella dei cani o dei gatti, rinascerà sicuramente in un corpo di cane o di gatto; se la sua coscienza è situata in virtù prenderà il corpo di un essere celeste; e se si è stabilito nella coscienza di Krishna raggiungerà Krishnaloka, nel mondo spirituale, per vivere accanto a Krishna. È un errore credere che dopo la morte non esista più niente. L'anima individuale trasmigra da un corpo all'altro, e il suo prossimo corpo dipende dal suo corpo e dalle sue azioni presenti; secondo la legge del karma otterrà un nuovo corpo, che dovrà poi nuovamente lasciare. In questo verso si afferma che i corpo sottile, che trasporta il concetto del prossimo corpo, si avvolge, nella vita seguente, di quel particolare tipo di corpo. Questa trasmigrazione da un corpo all'altro e la lotta che l'anima deve condurre nel corpo si chiama karsati, "lotta per l'esistenza".





VERSO 9

srotram caksuh sparsanamca
rasanam ghranam eva ca
adhisthaya manas cayam
visayan upasevate

srotram: orecchi; caksuh: occhi; sparsanam: tatto; ca: anche; rasanam: lingua; ghranam: odorato; eva: anche; ca: e; adhistaya: essendo situato in; manah: mente; ca: anche; ayam: egli; visayan: oggetti dei sensi; upasevate: gode.



TRADUZIONE

Ogni volta che si riveste di un nuovo corpo grossolano, l'essere vivente ottiene un particolare senso dell'udito, della vista, del tatto, del gusto e dell'odorato, che gravitano attorno alla mente. Egli gode così di una determinata gamma di oggetti dei sensi.



SPIEGAZIONE

Si deduce da questo verso che se l'uomo altera la sua coscienza sviluppando un comportamento proprio dei cani e dei gatti, dovrà vivere in un corpo di cane o di gatto nella sua prossima esistenza e godere alla maniera di questi animali. Come l'acqua, la coscienza è pura in origine. Ma l'acqua si trasforma se è mischiata con una sostanza colorante, così la coscienza si altera quando viene a contatto con le tre influenze della natura materiale, sebbene sia pura, perché la vita dell'uomo situato nella coscienza di Krishna è pura. Ma se questa coscienza viene alterata da qualche concezione materiale, l'uomo otterrà, nella sua vita futura, un corpo in armonia con questa concezione. Non necessariamente avrà un corpo umano, può rinascere con un corpo di cane, di gatto, di maiale, di essere celeste o con altri corpi ancora, in una delle 8.400.000 varietà di esseri.





VERSO 10

utkramantam sthitam vapi
bhunjanam va gunanvitam
vimudha nanupasyanti
pasyanti jnana-caksusah

utkramantam: lasciando il corpo; sthitam: situato nel corpo; va api: o; bhunjanam: godendo; va: o; guna-anvitam: sotto l'incantesimo delle influenze materiali; vimudhah: persone stolte; na: mai; anupasyanti: possono vedere; pasyanti: possono vedere; jnana-caksusah: coloro che hanno gli occhi della conoscenza.




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TRADUZIONE

Gli stolti non riescono a capire come l'essere vivente lasci il corpo o di quale specie corporea dovrà godere sotto l'incantesimo delle tre influenze materiali, ma coloro che hanno gli occhi illuminati dalla conoscenza possono capirlo.



SPIEGAZIONE

Le parole jnana-caksusah usate qui sono piene di significato. Infatti, l'uomo che non ha conoscenza non può capire come un essere lascia il corpo, né quale forma corporea dovrà assumere nella prossima vita, e neppure perché ora vive in un tipo di corpo piuttosto che in un altro. La comprensione di queste cose richiede una vasta conoscenza che si deve attingere dalla Bhagavad-gita o da altre Scritture della stessa linea, conoscenza che dev'essere ricevuta da un maestro spirituale autentico. L'uomo che ha ricevuto una formazione che gli permette di percepire queste cose dev'essere considerato fortunato. Sotto il dominio delle tre influenze della natura ogni essere vive, gode del corpo, e infine lo lascia in particolari circostanze. Così, sotto l'illusione di godere dei sensi, subisce differenti tipi di gioie e dolori.

Coloro che si lasciano continuamente sviare dal desiderio e dalla cupidigia perdono ogni possibilità di comprendere il meccanismo della trasmigrazione da un corpo all'altro e del soggiorno in un particolare corpo. In nessun modo possono capire queste cose. Invece, coloro che hanno sviluppato la conoscenza spirituale vedono che le anima è distinta dal corpo, che gode del corpo in diversi modi e alla fine lo cambia. Chi possiede questa conoscenza può capire anche quanto l'essere condizionato soffra nell'esistenza materiale. E chi conosce l'estrema sofferenza della vita condizionata, chi ha sviluppato un alto grado di coscienza di Krishna s'impegna il più possibile nel distribuire questa conoscenza agli uomini. Tutti devono sfuggire a questa vita di miserie, tutti devono diventare coscienti di Krishna e liberarsi per poter raggiungere il mondo spirituale.









CAPITOLO 16





Natura divina e natura demoniaca





VERSI 1-3

sri-bhagavan uvaca
abhayam sattva-samsuddhir
jnana-yoga-vyavasthitih
danam damas ca yajnas ca
svadhyayas tapa arjavam

ahimsa satyam akrodhas
tyagah santir apaisunam
daya bhutesv aloluptvam
mardavam hrir acapalam

tejah ksama dhritih saucam
adroho nati-manita
bhavanti sampadam daivim
abhijatasya bharata

sri-bhagavan uvaca: Dio, la Persona Suprema, disse; abhayam: assenza di paura; sattva-samsuddhih: purificazione dell'esistenza individuale; jnana: in conoscenza; yoga: del legame; vyavastitih: la situazione; danam: carità; damah: controllando la mente; ca: e; yajnah: compimento di sacrificio; ca: e; svadhyayah: studio della letteratura vedica; tapah: austerità; arjavam: semplicità; ahimsa: non violenza; satyam: veridicità; akrodhah: libertà dalla collera; tyagah: rinuncia; santih: tranquillità; apaisunam: avversione per la critica; daya: misericordia; bhutesu: verso tutti gli esseri viventi; aloluptvan: libertà dall'avidità; mardavam: gentilezza; hrih: modestia; acapalam: determinazione; tejah: vigore; ksama: perdono; dhritih: forza morale; saucam: purezza; adrohah: libertà dall'invidia; na: non; ati-manita: sete di onori; bhavanti: sono; ampadam: le qualità; daivim: la natura trascendentale; abhijatasya: di chi è nato da; bharata: o discendente di Bharata.



TRADUZIONE

Dio, la Persona Suprema, disse:
L'assenza di paura, la purificazione dell'esistenza, lo sviluppo della conoscenza spirituale, la carità, il controllo di sé, il compimento di sacrifici, lo studio dei Veda, l'austerità, la semplicità, la non violenza, la veridicità, l'assenza di collera, la rinuncia, la serenità, l'avversione per la critica, l'assenza di collera, la rinuncia, la serenità, l'avversione per la critica, la compassione verso tutti gli esseri, l'assenza di cupidigia, la dolcezza, la modestia, la ferma determinazione, il vigore, il perdono, la forza morale, la purezza, la libertà dall'invidia e dalla sete di onori - queste sono qualità trascendentali, proprie degli uomini virtuosi dotati di natura divina, o discendente di Bharata.



SPIEGAZIONE

L'inizio del quindicesimo capitolo descriveva l'albero baniano che rappresenta il mondo materiale, le cui radici secondarie sono le azioni talvolta favorevoli e talvolta sfavorevoli, degli esseri viventi. Il nono capitolo parlava dei deva, gli esseri di natura divina, e degli asura, quelli di natura demoniaca. Secondo gli insegnamenti vedici, le attività guidate dalla virtù sono favorevoli al progresso verso la liberazione e se sono considerate di natura spirituale, o daivi prakriti. Gli uomini di natura spirituale avanzano sulla via della liberazione, mentre quelli che agiscono sotto l'influenza della passione e dall'ignoranza non hanno alcuna possibilità di raggiungere la liberazione. Essi dovranno rimanere nel mondo materiale, o nella forma umana o nelle specie animali o in forme di vita ancora più basse. In questo capitolo il Signore spiega sia la natura divina, o spirituale, sia la natura demoniaca, con i loro rispettivi attributi, mettendone in rilievo gli aspetti positivi e negativi.

Il termine abhijatasya, che designa l'uomo nato con qualità spirituali, con tendenze divine, è molto significativo. La procreazione di un figlio in un'atmosfera divina è detta, nelle Scritture vediche, garbhadhana-samskara. In realtà, se i genitori desiderano un figlio dotato di qualità divine devono osservare i dieci princìpi della vita umana.¹ In un capitolo precedente abbiamo visto che l'atto sessuale, quando mira a generare un bambino virtuoso, rappresenta Krishna stesso. La vita sessuale non può quindi essere condannata, purché sia compiuta in coscienza di Krishna. Coloro che sono nella coscienza di Krishna non devono generare figli come fanno i gatti, ma con lo scopo di farne persone coscienti di Krishna. Questa dovrebbe essere la benedizione che riceve un bambino nato da genitori impegnati nella coscienza di Krishna.

Il varnasrama-dharma, il sistema sociale che divide la società in quattro classi, o varna, non attua questa divisione secondo il principio di eredità. Questi quattro gruppi sono determinati dalla formazione personale degli individui e hanno lo scopo di mantenere la pace e il benessere nella società. Le qualità elencate in questo verso sono dette trascendentali, perché sono destinate ad aumentare nell'uomo la comprensione spirituale che gli permetterà di liberarsi dal mondo materiale. Nel varnasrama-dharma, il sannyasi (colui che è nell'ordine di rinuncia) è considerato la testa o il maestro spirituale di tutti i varna e gli asrama. È vero che il brahmana svolge il ruolo di maestro spirituale per i componenti degli altri tre varna - ksatriya, vaisya e sudra - ma il sannyasi, in cima all'istituzione del varnasrama, è il maestro spirituale anche del brahmana.

Abhaya: assenza di paura. Innanzitutto, il sannyasi dev'essere senza paura. Dovendo vivere da solo, senza alcun sostegno e senza la prospettiva di averlo in futuro, non può che dipendere totalmente dalla misericordia di Dio, la Persona Suprema. Chi si preoccupa ancora se sarà protetto una volta troncati i legami con la famiglia e la società, non dovrebbe accettare il sannyasa, l'ordine di rinuncia. Si deve essere fermamente convinti che Krishna la Persona Suprema, Si trova sempre nel cuore di ognuno nel Suo aspetto localizzato di Paramatma, quindi Egli vede e sa sempre tutto delle nostre intenzioni. Bisogna possedere anche una ferma fede, la sicurezza che Krishna, come Paramatma, protegge l'anima che si è abbandonata a Lui. Si deve pensare: "Non sono mai solo. Anche se andassi a vivere nel cuore della foresta più oscura, Krishna sarebbe con me e mi darebbe ogni protezione." Colui che possiede questa convinzione è abhaya, senza paura. Tale stato d'animo è indispensabile al sannyasi.

Sattva-samsuddhi: purificazione dell'esistenza. Il sannyasi deve purificare la sua esistenza seguendo i numerosi princìpi stabiliti a questo fine. Il più importante consiste nella severa proibizione d'intrattenere relazioni con una donna. Al sannyasi è perfino vietato parlare con una donna in un luogo solitario. Sri Caitanya Mahaprabhu, il Signore in persona, diede l'esempio del sannyasi perfetto: quando Si trovava a Puri, i Suoi discepoli di sesso femminile non potevano avvicinarsi a Lui neanche per offrirGli i loro omaggi, ma erano invitate a prosternarsi tenendosi a una certa distanza. Non bisogna vedere in questo un'avversione per le donne; è solo un dovere del sannyasi non intrattenere relazioni con loro. Se vuole purificare la sua esistenza, l'uomo deve rispettare le regole prescritte per il varna e l'asrama a cui appartiene. Nel caso del sannyasi è severamente proibito intrattenere qualsiasi legame con le donne e possedere ricchezze per la gratificazione dei sensi. Sri Caitanya Mahaprabhu fu un sannyasi perfetto e durante la Sua vita fu estremamente severo nel Suo comportamento verso le donne. Sebbene sia considerato l'avatara più liberale perché accettava sotto la Sua protezione le anime più cadute, Egli seguiva rigidamente le regole e i princìpi del sannyasa per quanto riguarda la compagnia delle donne. Uno dei sui intimi discepoli, Chota Haridasa, sebbene vicino a Lui e ai Suoi intimi compagni, un giorno si lasciò sfuggire uno sguardo di cupidigia verso una giovane donna in presenza di Sri Caitanya Mahaprabhu. Egli era così severo che lo escluse subito dalla sua compagnia. Dopo l'incidente Sri Caitanya pronunciò queste parole: "Per un sannyasi, o per chiunque aspiri a liberarsi dalla schiavitù della materia e si sforzi di elevarsi alla natura spirituale per tornare a Dio, nella sua dimora originale, volgere lo sguardo verso i beni materiali e le donne (anche senza goderne, ma animato da questo desiderio), è un atto così condannabile che sarebbe meglio per lui suicidarsi piuttosto che conoscere desideri così illeciti." Queste sono dunque le vie della purificazione.

Jnana-yoga-vyavastiti: sviluppo della conoscenza spirituale. Il compito del sannyasi è portare la conoscenza spirituale ai capi famiglia e a tutti coloro che hanno dimenticato che lo scopo della vita umana è avanzare sulla via spirituale. Per provvedere alle sue necessità, il sannyasi deve elemosinare di porta in porta, ma ciò non significa che sia un mendicante. L'umiltà è un'altra qualità della persona situata sul piano trascendentale, e per umiltà il sannyasi va di porta in porta più per visitare le famiglie e risvegliarle alla coscienza di Krishna che per mendicare. Questo è i dovere del sannyasi. Se un discepolo è veramente avanzato nella vita spirituale e il maestro spirituale gli chiede di farlo, deve predicare con intelligenza la coscienza di Krishna, altrimenti dovrebbe evitare di accettare il sannyasa. E se si accorge di essere entrato nell'ordine di sannyasa senza avere una conoscenza sufficiente, allora deve coltivare il sapere ascoltando gli insegnamenti di un maestro spirituale autentico. Il sannyasi, in conclusione, dev'essere situato nell'abhaya, l'assenza di paura, nella attva-samsuddhi, la purezza, e nel jnana-yoga, la conoscenza.

Dana: carità. Gli atti di carità sono in particolare per i grihastha. Gli uomini di famiglia, infatti, dovrebbero guadagnare onestamente la loro vita e devolvere metà dei loro guadagni a quelle istituzioni che si occupano di diffondere la coscienza di Krishna in tutto il mondo. La carità, infatti dev'essere offerta a uomini che ne sono degni. Come spiegherà in seguito la Bhagavd-gita, esistono diversi tipi di atti caritatevoli, quelli sotto l'influsso della virtù, della passione e dell'ignoranza. Nelle Scritture sono raccomandati gli atti di carità compiuti nella virtù, non quelli dettati dalla passione e dall'ignoranza, che sono un semplice spreco di denaro. L'unico scopo della carità dev'essere quello di aiutare a diffondere la coscienza di Krishna nel mondo. Questa è carità nella virtù.

Dama: il controllo di sé. È una qualità propria di tutti i varna, ma è soprattutto una qualità del grihasta. Sebbene viva in compagnia di una sposa, il grihastha deve astenersi dall'impiegare senza freno i suoi sensi nei piaceri sessuali. Egli è tenuto a osservare delle regole che riguardano anche la vita sessuale, che non deve avere altro fine se non la procreazione. E se il grihastha non ha intenzione di avere figli, gli sposi dovranno astenersi dai piaceri sessuali. Oggi gli uomini fanno uso di contraccettivi e di metodi ancora più abominevoli per godere dei piaceri sessuali senza doversi assumere la responsabilità che implica la nascita di un figlio. Questo non è certo un sintomo della natura divina, ma è un attributo demoniaco. Chiunque desideri avanzare sulla via spirituale, anche se è sposato, deve controllare la sua vita sessuale e generare della prole solo per servire Krishna. Se un uomo è sicuro che i suoi figli diventeranno coscienti di Krishna, può metterne al mondo anche centinaia, altrimenti è meglio non indulgere negli atti sessuali solo per godere del piacere dei sensi.

Yajna: il compimento di sacrifici. Anche questo è destinato in modo particolare al grihastha, perché richiede l'impiego di grandi ricchezze, che i membri degli altri varna - brahmacari, vanaprastha e sannyasi - non possiedono, vivendo di elemosine. Il grihastha deve compiere l'agnihotra-yajna, per esempio, come prescrivono le Scritture vediche. Ma questo sacrificio richiede ricchezze tali che oggi nessuno potrebbe eseguirlo. Perciò il migliore sacrificio per la nostra età, e anche l'unico raccomandato, è il sankirtana-yajna, il canto del maha-mantra Hare Krishna, Hare Krishna, Krishna, Krishna, Hare Hare / Hare Rama, Hare Rama, Rama Rama, Hare Hare. Questo è il più elevato e il meno costoso dei sacrifici; tutti possono adottarlo e trarne beneficio. La carità, il controllo dei sensi e l'esecuzione dei sacrifici sono dunque particolarmente desitinati al grihastha.

Svadhyaya: studio dei Veda. Questa qualità è propria del brahmacari, o studente. Egli deve evitare ogni associazione con donne; la sua vita dev'essere una vita di continenza e di assorbimento nello studio delle Scritture vediche al fine di coltivare la conoscenza spirituale.

Tapas, o austerità, è soprattutto destinato ai vanaprastha. Un uomo non deve rimanere un capofamiglia per tutta la vita, ma deve sempre ricordare che la vita spirituale comporta quattro tappe: il brahmacarya, il grihastha, il vanaprastha e il sannyasa. Perciò, dopo essere stato grihastha, un uomo di famiglia, dovrà prepararsi a vivere in un luogo solitario. Dei cent'anni della sua vita, venticinque vanno al brahmacarya, agli studi, venticinque al grihastha, alla vita di famiglia, venticinque al vanaprastha, alla vita ritirata, e gli ultimi venticinque al sannyasa, alla vita di rinuncia. Queste sono le norme disciplinari della vita spirituale nella società vedica. L'uomo che lascia la vita di famiglia deve praticare l'austerità del corpo, della mente e della lingua; ciò che costituisce il tapasya. In realtà, questo tapasya è raccomandato per tutte le divisioni del varnasrama-dharma. Senza tapasya, o austerità, nessuno può ottenere la liberazione. La Bhagavad-gita, come ogni altro Testo vedico, non raccomanda quelle teorie secondo cui non ci sarebbe alcun bisogno di austerità, ma si potrebbe tranquillamente continuare ogni sorta di speculazioni. Queste teorie sono invenzioni di pseudo-spiritualisti interessati solo ad accrescere il numero dei loro seguaci. Non appena si tratta di seguire certe regole, certe restrizioni, la gente improvvisamente diventa restia. Perciò quelli che vogliono solo fare discepoli e mirano a far brillare le loro glorie in nome della spiritualità, non osservano né fanno osservare ai loro studenti alcun principio regolatore. Ma questi metodi non sono approvati dai Veda.
Quanto alla semplicità, non dev'essere un principio solo per i membri di un particolare asrama, ma per ogni uomo, che sia brahmacari, grihastha, vanaprastha o sannyasi. Tutti devono vivere nella più grande semplicità.

Ahimsa: non violenza. Significa non interrompere l'evoluzione di nessun essere vivente. Non si deve credere che poiché la scintilla spirituale non muore mai e sopravvive anche quando il corpo muore, non ci sia niente di male nel massacrare gli animali per mangiarseli. Oggi la gente preferisce nutrirsi di carne animale, nonostante abbia a disposizione grandi quantità di cereali, frutta e latte. In realtà, non c'è alcun bisogno di abbattere gli animali. E nessuno fa eccezione a questa regola. Se non ci fosse altra scelta, si potrebbe uccidere un animale in caso di necessità, ma si dovrebbe dapprima offrirlo in sacrificio. L'uomo desideroso di avanzare nella realizzazione spirituale non deve, in nessun caso, fare violenza agli animali quando il nutrimento è in abbondanza. La vera ahimsa consiste nel non frenare lo sviluppo di un essere, di qualunque specie esso sia. Gli animali, trasmigrando da una certa evoluzione, ma se un animale viene ucciso, il suo progresso è rallentato. Infatti, prima di elevarsi alla specie animale superiore dovrà ritornare nella specie che ha prematuramente lasciato per completarvi il suo dovuto numero di giorni o di anni. Non si deve dunque rallentare l'evoluzione degli animali solo per soddisfare il proprio palato. Questa è l'ahimsa.

Satyam: veridicità. Consiste nel non deformare la verità a scopi personali. Certi passi delle Scritture vediche sono difficili da comprendere e la spiegazione del loro contenuto e della loro finalità dev'essere ricevuta da un maestro spirituale autentico. Questa è la giusta via per capire
[Modificato da Freeflow@ 28/05/2009 16:01]

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deve ascoltare la conoscenza da un'autorità in materia. Non si devono interpretare le Scritture per qualche motivo personale. Ci sono numerosi commenti della Bhagavad-gita che deformano il significato del Testo originale. Ogni parola dev'essere presentata con il suo vero significato, e da un maestro spirituale autentico.

Akrodha: controllo della collera. Bisogna tollerare le provocazioni, perché se la collera scoppia tutto il corpo ne viene contaminato. La collera è il frutto della passione e della lussuria, perciò chi ha superato le tre influenze della natura materiale deve riuscire a liberarsene.

Apaisunam: avversione per la critica. Significa non ricercare difetti negli altri o correggerli senza necessità. Chiamare "ladro" un ladro non può ovviamente ritenersi una critica, ma dare del ladro a un uomo onesto è una grave offesa per chi progredisce sul sentiero della vita spirituale

Hri: modestia. Si deve dar prova di riservatezza ed evitare di compiere azioni detestabili.

Acapalam: determinazione. L'uomo determinato non si lascerà turbare o scoraggiare nei suoi sforzi, qualunque siano i risultati. Un tentativo può anche fallire, ma invece di affliggersene bisogna continuare a sforzarsi con pazienza e determinazione.

Tejas: vigore. È una qualità propria degli ksatriya a cui è richiesta una grande forza per poter proteggere i deboli. Essi non devono pretendere di essere non violenti; se la violenza si rivela necessaria, devono farne uso. Ma una persona che è in grado di piegare il nemico, può, in certe condizioni, mostrare il perdono. Può scusare le offese minori.

Saucam: purezza. Non deve limitarsi al corpo e alla mente, ma estendersi anche ai rapporti con gli altri. Si riferisce particolarmente ai vaisya, o commercianti, che non dovrebbero mai impegnarsi in compravendite clandestine.

Nati-manita: non aspettarsi onori. È una qualità del sudra, il comune lavoratore, membro del varna che il codice vedico classifica ultimo. Il sudra non deve inorgoglirsi vanamente o ricercare onori, ma deve rimanere nelle giuste norme del suo stato sociale. È anche suo dovere mostrare rispetto ai componenti dei varna superiori, per mantenere l'ordine sociale.

Tutte queste qualità sono spirituali, di natura divina. Ognuno deve svilupparle, secondo il varna e l'asrama a cui appartiene. Così, anche se la condizione materiale è causa di sofferenza, queste qualità, sviluppate con la pratica, possono gradualmente elevare l'uomo da qualsiasi posizione del varnasrama-dharma al livello più alto della realizzazione spirituale.





VERSO 4

dambho darpo 'bhimanas ca
krodhah parusyam eva ca
ajnanam cabhijatasya
partha sampadam asurim

dambhah: orgoglio; darpah: arroganza; abhimanah: vanità; ca: e krodhah: collera; parusyam: durezza; eva: certamente; ca; e; ajnanam: ignoranza; ca: e; abhijatasya: di colui che è nato; partha: o figlio di Pritha; sampadam: le qualità; asurim: della natura demoniaca.



TRADUZIONE

Orgoglio, arroganza, presunzione, collera, rudezza e ignoranza sono le qualità caratteristiche degli uomini di natura demoniaca, o figlio di Pritha.



SPIEGAZIONE

In questo verso è descritta la via verso l'inferno. Gli uomini demoniaci vogliono dare una dimostrazione di fede e di avanzamento nella scienza spirituale, ma non ne seguono neppure i princìpi. Sono sempre arroganti e orgogliosi di aver ricevuto un certo tipo di educazione o di possedere tante ricchezze. Desiderano essere adorati ed esigono il rispetto sebbene non ispirino alcun rispetto. Per un nonnulla si arrabbiano e parlano in modo offensivo. Non sanno ciò che dev'essere fatto e ciò che non dev'essere fatto. Agiscono in modo capriccioso, seguendo i loro desideri, e non conoscono nessuna autorità. Essi portano con sé questi attributi demoniaci fin dai primi istanti della loro vita nel corpo, nel grembo stesso della madre, e crescendo manifestano tutte queste qualità di cattivo augurio.





VERSO 5

daivi sampad vimoksaya
nibandhayasuri mata
ma sucah sampadam daivim
abhijato 'si pandava

daivi: trascendentali; sampat: beni; vimoksaya: destinati alla liberazione; nibandhaya: per la prigionia; asuri: qualità demoniache; mata: sono considerate; ma: non; sucah: preoccuparti; sampadam: beni; daivim: trascendentali; abhijatah: nato; asi: tu sei; pandava: o figlio di Pandu.



TRADUZIONE

Le qualità divine portano alla liberazione, mentre le qualità demoniache portano alla schiavitù. Ma non temere, figlio di Pandu, tu si nato con qualità divine.



SPIEGAZIONE

Sri Krishna incoraggia Arjuna affermando che lui non è nato con qualità demoniache. La presenza di Arjuna nella battaglia non è segno di una natura demoniaca, poiché si preoccupa tanto di valutarne i pro e i contro. Egli si domanda se persone rispettabili come Bhisma e Drona debbano essere uccise, perciò non agisce sotto l'influsso della collera, del falso prestigio o della durezza. La sua natura, dunque, non è demoniaca. Per uno ksatriya, un guerriero, scagliare frecce sul nemico è trascendentale, mentre trascurare di compiere questo dovere è demoniaco. Arjuna, dunque, non ha alcun motivo di lamentarsi. Chiunque osservi i princìpi regolatori dei differenti ordini di vita è situato sul piano trascendentale.





VERSO 6

dvau bhuta-sargau loke 'smin
daiva asura eva ca
daivo vistarasah prokta
asuram partha me srinu

dvau: due; bhuta-sargau: esseri viventi creati; loke: nel mondo; asmin: questo; daivah: divino; asurah: demoniaco; eva: certamente; ca: e; daivah: il divino; vistarasah: a lungo; proktah: detto; asuram: il demoniaco; partha: o figlio di Pritha; me: da Me; srinu: ascolta ora.



TRADUZIONE

O figlio di Pritha, in questo mondo esistono due categorie di esseri creati, gli uni divini e gli altri demoniaci. Ti ho già parlato a lungo delle qualità divine, ora ascolta da Me gli attributi demoniaci.



SPIEGAZIONE

Sri Krishna ha rassicurato Arjuna dicendogli che è nato con le qualità divine, e ora gli descrive la via demoniaca. Gli esseri condizionati in questo mondo sono divisi in due categorie. I primi, nati con le qualità divine, fanno una vita regolata, seguono cioè le Scritture e le autorità in campo spirituale. In effetti, ognuno dovrebbe compiere il proprio dovere alla luce di Scritture autentiche: chi agisce così è definito divino. I secondi, invece, coloro che non osservano i princìpi regolatori enunciati dalle Scritture ma agiscono in modo capriccioso, sono chiamati asura, o esseri demoniaci. L'unico metro di giudizio è dunque l'obbedienza ai princìpi regolatori delle Scritture. Infatti, le Scritture affermano che tutti, esseri celesti ed esseri demoniaci discendono da Prajapati; l'unica differenza è che gli uni si sottomettono alle regole vediche e gli altri no.





VERSO 7

pravrittim ca nivrittim ca
jana na vidur asurah
na saucam napi cacaro
na satyam tesu vidyate

pravrittim: agendo in modo corretto; ca: anche; nivrittim: non agendo in modo scorretto; ca: anche; nivrittim: non agendo in modo scorretto; ca: e; janah: persone; na: mai; viduh: sanno; asurah: di qualità demoniaca; na: mai; saucam: pulizia; na: né; api: anche; ca: e; acarah: comportamento; na: mai; satyam: verità; tesu: in loro; vidyate: c'è.



TRADUZIONE

Le persone demoniache non sanno ciò che si deve fare e ciò che non si deve fare . In loro non c'è purezza, né comportamento corretto, né veridicità.



SPIEGAZIONE

In ogni società umana civilizzata si trova, fin dalle origini, un insieme di regole scritturali che servono da guida per la società; ciò e vero, in particolare, per gli arya, termine che si riferisce a coloro che adottano la coltura vedica e per questo sono considerati le persone civili più evolute. Invece, coloro che non seguono le regole delle Scritture sono detti demoni, e il nostro verso lo conferma descrivendo la natura demoniaca, caratterizzata da ignoranza e da avversione nei confronti di ogni regola indicata nelle Scritture. La maggior parte delle persone demoniache non ha alcuna conoscenza di queste regole, e i pochi che le conoscono non hanno alcun desiderio di osservarle. Sono privi di fede e rifiutano di agire in accordo con le regole vediche. Non sono puliti, né internamente, né esternamente. Si deve sempre aver cura di mantenere il corpo pulito, facendo il bagno e lavandosi i denti, radendosi, cambiando i vestiti, e così via. Quanto alla purezza interna, si ottiene ricordando costantemente i santi nomi di Dio col canto del maha-mantra Hare Krishna, Hare Krishna, Krishna, Krishna, Hare Hare / Hare Rama, Hare Rama, Rama, Rama, Hare Hare. Agli uomini demoniaci non piacciono questi princìpi di purezza interna ed esterna, perciò non li seguono.

Le regole di condotta sono racchiuse nelle Scritture, specialmente nella Manu-samhita, che contiene le leggi della razza umana ed è ancora oggi seguita dagli indù. Le leggi che regolano l'eredità dei beni e molte altre leggi hanno origine da questo testo. Tra l'altro esso prescrive che le donne non devono agire in modo indipendente perché sono come bambini. Questo, naturalmente, non significa che debbano essere trattate come schiave. Infatti, limitare la libertà di un bambino non vuol dire considerarlo uno schiavo. Gli uomini demoniaci hanno abbandonato questa regola e credono che uomo e donna debbano godere della stessa libertà. Ma è facile notare che i loro tentativi non hanno migliorato la situazione sociale del mondo. In realtà, la donna deve sempre avere accanto qualcuno in grado di proteggerla: il padre durante l'infanzia, il marito durante la giovinezza e la maturità, e i figli, ormai adulti, durante la vecchiaia. Questa è secondo la Manu-samhita, la giusta condotta sociale. L'educazione attuale, invece, ha artificialmente creato il presuntuoso concetto di femminismo; perciò il matrimonio, nella società moderna, non è altro che un'utopia. E non si può neppure dire che oggi la condizione morale della donna sia eccellente. Gli uomini demoniaci rifiutano tutte le norme positive per la società; poiché non approfittano dell'esperienza dei grandi saggi, né seguono le regole che essi hanno prescritto, le loro condizioni sociali diventano sempre più miserevoli.





VERSO 8

asatyam apratistam te
jagad ahur anisvaram
aparaspara-sambhutam
kim anyat kama-haitukam

asatyam: irreale; apratistam: senza fondamento; te: essi; jagat: la manfestazione cosmica; ahuh: dicono; anisvaram: senza controllore; aparaspara: senza causa; sambhutam: sorti; kim anyat: non vi è altra causa; kama-haitukam: è dovuto soltanto alla lussuria.



TRADUZIONE

Dicono che questo mondo è irreale, privo di fondamento e di un Dio che lo controlli; dicono che è un prodotto soltanto dal desiderio sessuale e non ha altra causa che la lussuria.



SPIEGAZIONE

Gli uomini demoniaci giungono alla conclusione che questo mondo è solo fantasmagoria. Per loro non esiste né causa, né effetto, né un maestro, né uno scopo: tutto è irreale. Sostengono che la manifestazione cosmica derivi da fenomeni "naturali" e dalle loro interazioni, e che tutto avvenga per caso. Non considerano mai la possibilità che il mondo sia stato creato da Dio con uno scopo ben preciso. Hanno la loro propria teoria: il mondo si è creato da solo, perciò non c'è motivo di credere che alla sua origine si trovi un Dio. Non esiste, per loro, alcuna differenza tra materiale e spirituale; come potrebbero dunque accettare l'Essere spirituale supremo? Tutto non è che materia, l'universo intero non è che una massa bruta d'ignoranza. Secondo loro ogni cosa è vuoto e qualsiasi manifestazione esistente è dovuta alla nostra incapacità di percezione. Danno per scontato che ogni manifestazione di diversità è soltanto un'esibizione d'ignoranza. E per dimostrarlo dicono: "L'uomo crea in sogno mille forme illusorie, ma quando si sveglia capisce che esistevano soltanto in sogno."

Sostengono dunque che "la vita è un sogno", ma non per questo sono meno esperti nell'arte di godere di questo sogno! Così, invece di acquisire la conoscenza, si rinchiudono sempre più nel loro mondo di sogni. Essi pensano che come un bambino nasce semplicemente dal rapporto sessuale, così questo mondo è stato creato senza alcun'anima. Per loro, solo una combinazione di elementi materiali ha prodotto gli esseri viventi, non è possibile che esista un'anima. Come numerose creature nascono senza alcuna causa dalla traspirazione o dalla putrefazione di un corpo, così credono che tutto ciò vive sia prodotto dagli elementi del mondo materiale combinati insieme. Così, sempre secondo loro, la natura materiale costituisce l'unica causa della manifestazione materiale. Essi non accordano nessuna fede alle parole di Krishna quando dice nella Bhagavad-gita (9.10), mayadhyaksena prakritih suyate sa-caracaram: "L'intero universo materiale si muove sotto la mia direzione." In breve, questi uomini demoniaci sono privi dell'esatta conoscenza sulla creazione del mondo, ma ognuno di loro possiede a questo proposito qualche teoria di sua invenzione. Ai loro occhi, tutte le interpretazioni dei Testi sacri si equivalgono, perché essi non credono nell'esistenza di una norma per comprendere le Scritture.





VERSO 9

etam dristim avastabhya
nastatmano 'lpa-buddhayah
prabhavanty ugra-karmanah
ksayaya jagato 'hitah

etam: questa; dristim: visione; avastabhya: accettando; nasta: avendo perso; atmanah: se stessi; alpa-buddhayah: i meno intelligenti; prabhavanti: producono; ugra-karmanah: impegnati in attività dolorose; ksayaya: per la distruzione; jagatah: del mondo; ahitah: non benefiche.



TRADUZIONE

Sulla base di tali conclusioni, gli uomini demoniaci, smarriti e privi di intelligenza, s'impegnano in attività dannose e ignobili destinate alla distruzione del mondo.



SPIEGAZIONE

Gli uomini demoniaci si dedicano ad attività che portano il mondo alla distruzione. Il Signore afferma in questo verso che essi hanno un'intelligenza inferiore. I materialisti, infatti, incapaci di concepire l'esistenza di Dio, credono di avanzare sulla via del "progresso", mentre in realtà, secondo la Bhagavad-gita, sono privi d'intelligenza e di ogni buon senso. Nel tentativo affannoso di godere al massimo in questo mondo, escogitano sempre qualcosa di nuovo che appaghi i loro sensi. Sebbene considerate sintomo di progresso, le loro invenzioni, purtroppo, provocano soltanto un rapido aumento della violenza e della crudeltà, verso gli animali come verso gli uomini. Gli uomini demoniaci ignorano totalmente il giusto comportamento da adottare nei rapporti col prossimo; e il massacro di animali è per loro una cosa normale. Sono considerati nemici del mondo, perché finiranno con l'inventare o creare lo strumento che causerà la distruzione di tutti gli esseri. Indirettamente, questo verso prevede le armi atomiche che oggi sono l'orgoglio del mondo intero. Da un momento all'altro può scoppiare una guerra e queste armi nucleari, esplodendo, creeranno il caos. L'unico scopo di queste invenzioni è distruggere il mondo, come indica questo verso. Questi ordigni compaiono nella società umana a causa dell'empietà della gente, e il loro scopo non è certo quello di condurre il mondo alla pace e alla prosperità.





VERSO 10

kamam asritya duspuram
dambha-mana-madanvitah
mohad grihitvasad-grahan
pravartante 'suci-vratah

kamam: lussuria; asritya: prendendo rifugio in; duspuram: insaziabile; dambha: di orgoglio; mana: e falso prestigio; mada-anvitah: assorti nel concetto; mohat: dall'illusione; grihitva: prendendo; asat: temporanee; grahan: cose; pravartante: prosperano; asuci: all'impurità; vratah: votati.



TRADUZIONE

Gli uomini demoniaci, preda dell'illusione, si rifugiano in una lussuria insaziabile e nella presunzione dell'orgoglio e del falso prestigio. Attratti da ciò che è temporaneo, sono sempre spinti verso attività malsane.


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SPIEGAZIONE

La mentalità demoniaca è descritta in questo verso. La cupidigia degli uomini che ne sono schiavi non è mai saziata, anzi essi continuano a vedere i loro insaziabili desideri di godimento materiale moltiplicarsi senza fine. Stretti nella morsa dell'illusione, non si stancano di accettare cose effimere, anche se ne derivano un'angoscia continua. Privi di conoscenza, non sono neppure consapevoli di camminare nella direzione sbagliata. Accettano l'effimero, e su questa base si costruiscono il loro Dio, per il quale compongono i loro propri inni, che cantano poi a modo loro. Due sono le cose che li affascinano sempre più: godere del piacere sessuale e ammucchiare ricchezze materiali. Sottolineiamo qui l'importanza del termine asuci-vratah. "doveri o regole di vita malsana" poiché questi uomini demoniaci sono interessati solo al vino, alle donne, al gioco e a consumo di carne: queste sono le loro abitudini malsane (asuci). Spinti dall'orgoglio e dal falso prestigio inventano di tutto punto i loro "princìpi religiosi" che sono approvati dalle Scritture vediche. Anche se sono persone del tutto detestabili, la società le orna, artificialmente, di una fama ingannevole, e sebbene siano destinati ad andare all'inferno si credono molto avanzati.







continua...










CAPITOLO 17





Le divisioni della fede





VERSO 1

arjuna uvaca
ye sastra-viddhim utsrijya
yajante sraddhayanvitah
tesam nistha tu ka krisna
sattvam aho rajas tamah

arjunah uvaca: Arjuna disse, ye: coloro che; sastra-viddhim: le regole delle Scritture; utsrijya: abbandonando; yajante: adorano; sraddhaya: piena fede; anvitah: possessori di; tesam: di loro; nistha: la fede; tu: ma; ka: che cosa; krisna: o Krishna; sattvan: in virtù; aho: o anche; rajah: in passione; tamah: in ignoranza.



TRADUZIONE

Arjuna disse:
O Krishna, qual è la condizione di coloro che non seguono i princìpi delle Scritture, ma si dedicano a un culto di loro invenzione? Sono situati in virtù, in passione o in ignoranza?



SPIEGAZIONE

Il verso trentanove del quarto capitolo insegnava che l'uomo di fede, che si dedica a una particolare forma di adorazione, viene gradualmente elevato al livello della conoscenza e raggiunge la più alta forma di pace e prosperità. Il sedicesimo capitolo concludeva affermando che colui che trascura di seguire i princìpi stabiliti dalle Scritture è un asura, o demone, al contrario di colui che li osserva con fede, il deva, o persona virtuosa. Qual è dunque la condizione di colui che segue con fede princìpi o regole che non sono menzionate nelle Scritture? Krishna vuole dissipare questo dubbio di Arjuna. L'adorazione di chi fa di un uomo qualunque un Dio considerandolo l'oggetto della sua fede, appartiene alla virtù, alla passione, o all'ignoranza? È possibile, così facendo, raggiungere la perfezione dell'esistenza? Possono conoscere il successo coloro che non seguono i princìpi e le regole delle Scritture, ma hanno fede in qualcuno, uomo o essere celeste, e ne fanno l'oggetto della loro adorazione? Ecco le domande che Arjuna rivolge a Krishna.





VERSO 2

sri-bhagavan uvaca
tri-viddha bhavati sraddha
dehinam sa svabhava-ja
sattviki rajasi caiva
tamasi ceti tam srinu

sri-bhagavan uvaca: Dio, la Persona Suprema disse; tri-viddha: di tre tipi; bhavati: diventa; sraddha: la fede; dehinam: dell'essere incarnato; sa: quello; sva-bhava-ja: secondo l'influenza della natura che lo controlla; sattviki: nell'influenza della virtù; rajasi: nell'influenza della passione; ca: anche; eva: certamente; tamasi: nell'influenza dell'ignoranza; ca: e; iti: cosi; tam: ciò; srinu: ascolta da Me.



TRADUZIONE

Dio, la Persona Suprema, disse:
Secondo l'influenza materiale che l'essere incarnato subisce, la fede può appartenere alla virtù, alla passione o all'ignoranza. Ascolta ciò che ti dico a questo proposito.



SPIEGAZIONE

Quegli uomini che pur conoscendo i princìpi regolatori enunciati nelle Scritture non li osservano, per pigrizia o per indolenza, cadono sotto il dominio delle tre influenze della natura materiale. Secondo le loro attività precedenti, compiute nella virtù, nella passione o nell'ignoranza, essi acquisiscono un carattere, una natura particolare. Fin dai primi istanti in cui entra in contatto con la natura materiale, l'essere vivente non smette mai di essere alle prese con le influenze materiali. Egli riveste così, secondo il loro influsso specifico, una mentalità particolare. Ma gli è possibile modificare questa mentalità se avvicina un maestro spirituale autentico e vive secondo i suoi insegnamenti e secondo quelli delle Scritture. Gradualmente, egli potrà così passare dall'ignoranza o dalla passione alla virtù. In conclusione, una fede cieca, chiusa nella sfera di una particolare influenza materiale, non è di alcun aiuto a chi vuole elevarsi fino alla perfezione. Bisogna sempre considerare le cose con attenzione, con intelligenza, in compagnia di un maestro spirituale autentico. Soltanto così si può progredire verso un'influenza materiale più elevata.





VERSO 3

sattvanurupa sarvasya
sraddha bhavati bharata
sraddha-mayo 'yam puruso
yo yac-chraddhad sa eva sah

sattva-anurupa: secondo l'esistenza; sarvasya: di ognuno; sraddha: fede; bhavati: diventa; bharata: o figlio di Bharata; sraddha: fede; mayah: piena di; ayam: questo; purusah: essere vivente; yah: chiunque; yat: avendo la quale; sraddhah: fede; sah: così; eva: certamente; sah: egli.



TRADUZIONE

O discendente di Bharata, secondo l'influenza materiale che domina la sua esistenza, l'essere sviluppa una forma particolare di fede. Si dice che l'essere vivente sia di questa o di quella fede secondo l'influenza materiale che subisce.



SPIEGAZIONE

Non c'è nessuno, qualunque sia la sua condizione, che non possieda una forma di fede. Questa fede diventa virtuosa, passionale o ignorante secondo la natura acquisita dall'uomo a contatto con le influenze materiali. Sempre secondo la natura della propria fede, si ricercherà la compagnia di questo o quel tipo di uomini. Ma la verità è ben diversa: ogni essere vivente, come insegna il quindicesimo capitolo, è in origine un frammento, o una parte integrante del Signore Supremo, al di là di tutte le influenze della natura materiale. Ma se egli dimentica la sua reazione con Dio, la Persona Suprema, ed entra in contatto con la natura materiale, nell'esistenza condizionata, allora vi determina la propria condizione, che dipende dal modo in cui egli avvicina gli svariati aspetti della natura materiale. La fede e il modo di vivere che derivano da questo condizionamento non possono essere che materiali, artificiali. Sebbene l'essere condizionato percepisca la vita in un certo modo e ne possieda una concezione materiale che lo spinge ad agire in una determinata maniera, egli rimane, per natura, nirguna, al di là della materia. Per ritrovare quindi la sua relazione col Signore Supremo deve purificarsi dalla contaminazione materiale che lo ha ricoperto. E l'unica via sicura che glielo permetterà è la coscienza di Krishna. Colui che è situato nella coscienza di Krishna si eleva senza alcun dubbio alla perfezione, mentre chi non s'incammina su questa via di realizzazione spirituale dovrà inevitabilmente vivere sotto il dominio delle tre influenze materiali.

La parola sraddha (fede) è qui particolarmente significativa. In realtà, la fede, sraddha, è sempre il risultato delle azioni compiute nella virtù. Che la fede sia risposta in un essere celeste, in un Dio fittizio o in qualche creazione mentale, essa generalmente, quando è forte, genera atti di virtù. Sappiamo, però che nessun'azione compiuta nell'esistenza condizionata, all'interno della natura materiale, può essere considerata pura. La virtù pura trascende la natura materiale e colui che vi si stabilisce può comprendere la vera natura di Dio, la Persona Suprema. Finché la fede non viene da questa virtù perfettamente pura, sarà soggetta alla contaminazione delle influenze materiali, che estendono la loro azione impura anche sul cuore. Perciò l'aspetto della fede è determinata dal modo in cui il cuore entra in contatto con una certa influenza materiale. Se un uomo ha il cuore toccato dalla virtù, la sua fede apparterrà alla virtù, se il suo cuore è nella passione, anche la sua fede sarà nella passione e se, infine il suo cuore è nelle tenebre dell'ignoranza, nell'illusione, anche la sua fede sarà contaminata da questa influenza. Si troveranno dunque differenti tipi di fede in questo mondo e differenti tipi di religione corrispondenti. Tuttavia, il vero principio della fede religiosa è situato nella virtù pura, ma poiché il cuore degli uomini è tinto dalle influenze materiali esiste una grande varietà di fedi, di religioni, e di conseguenza differenti forme di adorazione.





VERSO 4

yajante sattvika devan
yaksa-raksamsi rajasah
pretan bhuta-ganams canye
yajante tamasa janah

yajante: adorano; sattvikah: coloro che sono soggetti all'influenza della virtù; devan: esseri celesti; yaksa-raksamsi: demoni; rajasah: coloro che sono soggetti all'influenza della passione; pretan: gli spiriti dei morti; bhuta-ganan: fantasmi; ca: e; anye: altri; yajante: adorano; tamasah: nell'influenza dell'ignoranza; janah: la gente.



TRADUZIONE

Gli uomini situati nella virtù adorano gli esseri celesti, quelli soggetti alla passione adorano i demoni e quelli dominati dall'ignoranza adorano i fantasmi e gli spiriti.



SPIEGAZIONE

In questo verso, Dio, la Persona Suprema, descrive diversi tipi di adoratori, classificati secondo il loro comportamento. Le scritture insegnano che soltanto il Signore Supremo è degno di adorazione, ma gli uomini privi di una profonda conoscenza delle regole contenute nelle Scritture o privi di fede in esse, hanno diversi oggetti di adorazione secondo la particolare influenza materiale che essi subiscono. Coloro che sono situati nella virtù adorano generalmente gli esseri celesti, cioè Brahma, Siva e numerosi altri, come Indra, Candra e Vivasvan, il dio del sole. Essi ne adorano uno in particolare, secondo il fine che desiderano raggiungere. Coloro che sono dominati dalla passione adorano i demoni. Ci ricordiamo, a questo proposito, un uomo di Calcutta che durante la seconda guerra mondiale rendeva culto a Hitler, che provocando la guerra gli aveva permesso di accumulare una grossa fortuna col mercato nero. Come lui, coloro che sono avvolti dalla passione e dall'ignoranza, scelgono generalmente come Dio un uomo pieno di potere. Essi credono che si possa adorare chiunque come Dio senza che il risultato dell'adorazione cambi.

Da questo verso appare evidente che gli uomini dominati dalla passione creano e adorano simili "dèi", mentre coloro che sono avvolti dalle tenebre dell'ignoranza adorano i morti e gli spiriti. Talvolta compiono la loro adorazione sulla tomba di qualche scomparso. Nell'ignoranza tenebrosa trova anche luogo il culto del sesso. Si può vedere in India, nei villaggi isolati, la gente che adora gli spettri. Noi stessi abbiamo visto che la gente ignorante si reca talvolta nella foresta per adorare un albero dove sa che vive uno spettro, e lì compie sacrifici. Questi tipi di adorazione non possono certamente essere paragonati all'adorazione di Dio. L'adorazione di Dio è destinata solo a coloro che hanno trasceso le tre influenze della natura materiale e si sono stabiliti nella virtù pura. Lo Srimad-Bhagavatam afferma, sattvam visuddham vasudeva-sabditam: "Quando un uomo è situato nella virtù pura adora Vasudeva." (S.B. 4.3.23) Ciò significa che soltanto colui che è interamente purificato dalla contaminazione delle tre influenze materiali ed è capace di trascenderle può adorare Dio, la Persona Suprema.

Gli impersonalisti, che dovrebbero essere guidati dalla virtù, adorano cinque differenti esseri celesti. Essi adorano anche il Visnu "impersonale", cioè la forma di Visnu nell'universo materiale, detta Visnu nell'universo materiale, detta Visnu "filosofato". Visnu è una manifestazione del Signore Supremo, ma poiché gli impersonalisti rifiutano di credere in Dio, la Persona Suprema, essi pensano che la forma di Visnu costituisca solo un altro aspetto del Brahman impersonale, e che Brahma rappresenti la forma dello stesso Brahman impersonale, ma sotto l'aspetto della passione. Essi considerano così cinque tipi di dèi da adorare, ma poiché credono che il Brahman impersonale sia l'unica verità, alla fine rifiutano ogni oggetto di adorazione. In conclusione, potremo liberarci dalle differenti influenze della natura materiale solo a contatto con coloro che le hanno già trascese.



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VERSI 5-6

asastra-vihitam ghoram
tapyante ye tapo janah
dambhahankara-samyuktah
kama-raga-balanvitah
karsayantah sarira-stham
bhuta-gramam acetasah
mam caivantah sarira-stham
tan viddhy asura-niscayan

asastra: non nelle Scritture; vihitam: dirette; ghoram: dannose per altri; tapyante: si sottopongono; ye: coloro che; tapah: austerità; janah: persone; dambha: con orgoglio; ahankara: ed egoismo; samyuktah: impegnate; kama: di lussuria; raga: e attaccamento; bala: con la forza: anvitah: spinti; karsayantah: tormentando; sarira-stham: situato nel corpo; bhuta-gramam: la combinazione degli elementi materiali; acetasah: avendo una mentalità sviante; mam: Me; ca; anche; eva: certamente; antah: all'interno; sarira-stham: situato nel corpo; tan: loro; viddhi: comprendono; asura-niscayan: i demoni.



TRADUZIONE

Coloro che per orgoglio ed egotismo si sottopongono a severe austerità e penitenze non raccomandate nelle Scritture e, spinti dalla lussuria e dall'attaccamento, sono così insensati che torturano gli elementi materiali del corpo, e insieme l'Anima Suprema che dimora in loro, sappi che sono definiti demoni.



SPIEGAZIONE

Ci sono uomini che s'inventano le loro proprie austerità e penitenze senza preoccuparsi se sono menzionate o no nelle Scritture, per esempio, digiunare per servire un fine puramente materiale, politico o altro. Le Scritture, in realtà, raccomandano il digiuno che serve all'avanzamento sul sentiero spirituale, e non quello che si propone scopi politici o sociali. Secondo la Bhagavad-gita, gli uomini che si sottopongono a tali austerità, non confermate dai Testi vedici, sono certamente demoniaci. I loro atti vanno contro i princìpi delle Scritture e non sono benefici per l'umanità. In fondo, essi agiscono solo per orgoglio, falso ego, cupidigia e attaccamento ai piaceri materiali. Questi atti turbano non soltanto l'ordine degli elementi materiali che costituiscono il corpo, ma anche il Signore Supremo, che vive in persona all'interno del corpo. Questi digiuni e austerità non autorizzati, compiuti per qualche fine politico, sono senza dubbio fonte di grande disagio anche per gli altri. Inoltre, non si trovano menzionati in nessuna parte dei testi vedci.

Gli uomini demoniaci possono credere con questi metodi costringeranno il nemico o il partito opposto a cedere alle loro richieste, ma talvolta accade invece che essi muoiano durante questi digiuni. Queste pratiche non sono approvate da Dio, il Quale, al contrario, afferma che coloro che vi si sottopongono sono demoni. Esse rappresentano, in realtà, un insulto verso il Signore, poiché vanno contro le leggi enunciate nei Testi vedici. A questo proposito il termine acetasah indica che gli uomini dalla mente sana obbediranno alle regole delle Scritture, mentre coloro che non godono di un tale stato mentale trascureranno le Scritture per inventare il proprio metodo di ascesi e di penitenza. Non dimentichiamoci il destino che attende queste persone demoniache, così come lo descrive il capitolo precedente. Il Signore le costringe a rinascere nel grembo di persone altrettanto demoniache e a vivere, vita dopo vita, secondo princìpi demoniaci, ignorando tutto della loro relazione con Dio, la Persona Suprema. Ma se sono abbastanza fortunati da ottenere la guida di un maestro spirituale in grado di condurli verso la via della saggezza vedica, allora potranno uscire dalla loro prigionia e raggiungere infine lo scopo supremo.





VERSO 7

aharas tv api sarvasya
tri-vidho bhavati priyah
yajnas tapas tatha danam
tesam bhedam imam srinu

aharah: mangiando; tu: certamente; api: anche; sarvasya: di tutti; tri viddhah: di tre generi; bhavati: c'è; priyah: caro; yajnah: sacrificio; tapah: austerità; tatha: anche; danam: carità; tesam: di loro; bhedam: differenze; imam: questo; srinu: ascolta.



TRADUZIONE

Anche il cibo preferito da ogni persona appartiene a tre categorie che corrispondono alle tre influenze della natura materiale. Questo vale anche per i sacrifici, per le austerità e la carità. Ascolta ora ciò che li distingue.



SPIEGAZIONE

In conformità delle diverse influenze della natura materiale, diversi, e non tutti allo stesso livello, saranno i modi di mangiare, di compiere i sacrifici, di praticare le austerità e di fare la carità. Chi può comprendere in modo analitico quali appartengono a una certa influenza materiale e quali a un'altra, è il vero saggio, al contrario degli sciocchi che non sanno distinguere le diverse forme di cibo, sacrificio e carità. Ci sono "missionari" che insegnano che chiunque, agendo secondo il proprio capriccio, può raggiungere la perfezione, ma queste guide senza intelligenza vanno contro gli insegnamenti delle Scritture, si costruiscono il loro proprio modo di agire e così ingannano le masse.





VERSO 8

ayuh-sattva-balarogya-
sukha-priti-vivardhanah
rasyah snigdhah sthira hridya
aharah sattvika-priyah

ayuh: durata della vita; sattva: esistenza; bala: forza; arogya: salute; sukha: felicità; priti: e soddisfazione; vivardhanah: accrescimento; rasyah: succosi; snigdhah: grassi; sthirah: sostanziosi; hridyah: graditi al cuore; aharah: cibo; sattvika: per chi è in virtù; priyah: gustosi.



TRADUZIONE

I cibi graditi a coloro che sono situati nella virtù accrescono la durata della vita, purificano l'esistenza e danno forza e salute, felicità e soddisfazione. Questi alimenti sono succosi, grassi, sani e graditi al cuore.





VERSO 9

katv-amla-lavanaty-usna-
tiksna-ruksa-vidahinah
ahara rajasasyesta
duhkha-sokamaya-pradah

katu: amari; amla: acidi; lavana: salati; ati-usna: molto caldi; tiksna: piccanti; ruksa: secchi; vidahinah: brucianti; aharah: alimenti; rajasasya: per chi è situato nella passione; istah: gustosi; duhkha: sofferenza; soka: miseria; amaya: malattia; pradah: causando.



TRADUZIONE

I cibi troppo amari, troppo aspri, salati, piccanti, pungenti, secchi e bruciati sono e da chi è dominato dalla passione. Essi generano sofferenza, infelicità e malattia.





VERSO 10

yata-yamam gata-rasam
puti paryusitam ca yat
ucchistam api camedhyam
bhojanam tamasa-priyam

yata-yamam: cibi cotti tre ore prima di essere consumati; gata-rasam: privi di gusto; puti: maleodoranti; paryusitam: decomposti; ca: anche; yat: ciò che; ucchistam: resti del cibo mangiati da altri; api: anche; ca: e; amedhyam: intoccabile; bhojanam: mangiare; tamasa: a chi è situato nell'ignoranza; priyam: cari.



TRADUZIONE

Il cibo cotto più di tre ore prima di essere consumato, privo di gusto, decomposto e putrido, e il cibo costituito di avanzi e di cose intoccabili, piace a coloro che sono dominati dalla più oscura ignoranza.



SPIEGAZIONE

Le uniche funzioni del cibo sono quelle di accrescere la longevità, di purificare la mente e di dare al corpo salute e vigore. Grandi autorità in materia hanno scelto, nel passato, gli alimenti che soddisfano nel modo migliore queste esigenze, e che sono tra gli altri, i prodotti del latte, lo zucchero, il riso, il grano, la frutta e la verdura. Questi sono gli alimenti preferiti dagli uomini guidati dalla virtù. Altri, come il mais o la melassa, sebbene non molto saporiti, acquistano sapore se mischiati col latte o con altri alimenti della virtù, e raggiungono così la sfera della virtù. Tutti questi alimenti sono per natura puri, non hanno niente in comune con le sostanze "intoccabili", impure, come la carne e i liquori. Gli alimenti grassi menzionati nel verso otto non hanno nessun rapporto con il grasso ricavato dall'abbattimento degli animali. I grassi animali sono reperibili nel latte, che è l'alimento migliore che ci sia. Il latte, il burro, il formaggio e altri simili prodotti forniscono grassi animali sotto una forma che esclude ogni necessità di uccidere creature innocenti. Soltanto una mentalità barbara permette che si continuino a massacrare gli animali. L'unico modo civile di ottenere le sostanze grasse necessarie all'uomo è quello di trarle dal latte. L'abbattimento degli animali è metodo proprio del sub-umano. Quanto alla proteine, si trovano abbondantemente nei ceci, nel dal (leguminosa simile alla soia), nel grano integrale e in molte leguminose.

Gli alimenti della passione, amari, troppo salati, troppo caldi o troppo speziati con peperoncino rosso, generano sofferenze perché producono una sovrabbondanza di muco nello stomaco, causa di varie malattie.
Gli alimenti dell'ignoranza tenebrosa sono generalmente quelli non freschi. Ogni cibo cotto più di tre ore prima di essere consumato appartiene alle tenebre dell'ignoranza ad eccezione del prasadam, cibo offerto dapprima al Signore. Essendo in decomposizione, questi alimenti emanano cattivi odori che spesso attirano gli uomini situati nell'ignoranza, ma tengono sempre lontani quelli situati nella virtù.

I resti del cibo possono essere consumati solo quando provengono da un pasto offerto dapprima al Signore Supremo o a uomini santi, specialmente al maestro spirituale. Altrimenti gli avanzi dei cibi appartengono all'ignoranza e non fanno che diffondere infezioni e malattie. Questi alimenti, sebbene estremamente graditi agli uomini avvolti dall'ignoranza, non attirano mai gli uomini situati nella virtù, che non li toccano neppure. Ma il cibo migliore è quello che si offre dapprima a Dio, il quale afferma nella Bhagavad-gita (9.26) di accettare le preparazioni di verdure, farina, latte e simili, quando Gli sono offerte con devozione (patram puspam phalam toyam). Naturalmente gli ingredienti più importanti per il Signore sono l'amore e la devozione che accompagnano l'offerta; ciò non toglie che il prasadam debba essere preparato con particolare cura. Qualsiasi cibo preparato in accordo con ciò che insegnano le Scritture a questo proposito e poi offerto a Dio, la Persona Suprema, può essere consumato anche molto tempo dopo che è stato cucinato, perché questo cibo è completamente spirituale. Perciò se si desidera rendere gli alimenti puri, "commestibili" e gustosi per tutti, si devono dapprima offrire a Dio, la Persona Suprema.






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CAPITOLO 18





La perfetta rinuncia





VERSO 1

arjuna uvaca
sannyasasya maha-baho
tattvam icchami veditum
tyagasya ca hrisikesa
prithak kesi-nisudana

arjunah uvaca: Arjuna disse; sannyasasya: di rinuncia; maha-baho: Krishna dalle braccia potenti; tattvam: la verità; icchami: desidero; veditum: comprendere; tyagasya: di rinuncia; ca: anche; hrisikesa: o maestro dei sensi; prithak: differentemente; kesi-nisudana: o uccisore del demone Kesi.



TRADUZIONE


Arjuna disse:
O Signore dalle potenti braccia, uccisore del demone Kesi e maestro dei sensi, vorrei conoscere lo scopo della rinuncia [tyaga] e quello dell'ordine di rinuncia [sannyasa].



SPIEGAZIONE

In realtà, la Bhagavad-gita termina col diciassettesimo capitolo. Il diciottesimo costituisce un riassunto complementare di ciò che è stato detto nei diciassette capitoli precedenti. In ognuno di questi capitoli Sri Krishna ha messo in evidenza il fatto che il servizio di devozione al Signore è il fine supremo dell'esistenza. Questo è ciò che riassumerà il diciottesimo capitolo, definendo il servizio di devozione come la via più "confidenziale" della conoscenza. Già i primi sei capitoli mettono l'accento sul servizio di devozione, yoginam api sarvesam: "Di tutti gli yogi, o spiritualisti, colui che pensa sempre a Me nel suo cuore è il più grande." I sei capitoli successivi sviluppano a loro volta l'idea del puro servizio di devozione, della sua natura e delle attività che esso comporta. Infine, il terzo gruppo di sei capitoli descrive, oltre al servizio di devozione, la conoscenza, la rinuncia e le azioni (di natura materiale), per arrivare alla conoscenza che ogni atto dev'essere compiuto in relazione col Signore, Visnu, la Persona Suprema, designato dalle parole om tat sat. In questa terza parte, la Bhagavad-gita stabilisce il servizio devozionale attraverso l'insegnamento e l'esempio degli acarya precedenti, e attraverso il Brahma-sutra, che ne fa lo scopo ultimo dell'esistenza, escludendo ogni altro fine. Alcuni impersonalisti pensano di detenere il monopolio della conoscenza sul Vedanta-sutra, mentre in realtà quest'opera serve a permettere la comprensione del servizio devozionale, poiché, come afferma il quindicesimo capitolo, il Signore stesso è il suo autore e conoscitore. Ogni Scrittura rivelata, ogni Veda, mira al servizio di devozione. Questo è l'insegnamento della Bhagavad-gita.

Con il secondo capitolo dà una sintesi dell'intera Bhagavad-gita, il diciottesimo ne riassume tutti gli insegnamenti. La rinuncia e l'elevazione al di là delle tre influenze della natura materiale sono indicati qui come lo scopo dell'esistenza. Arjuna si rivolge al Signore perché gli chiarisca il significato della rinuncia (tyaga) e dell'ordine di rinuncia (sannyasa), due temi ben distinti della Bhagavad-gita.
Nel verso, le parole "Hrisikesa" e "Kesi-nisudana", con cui Arjuna si rivolge al Signore Supremo, hanno un particolare significato: Hrisikesa è Krishna, il maestro di tutti i sensi, che può sempre aiutarci a trovare la serenità. Arjuna Gli chiede di riassumere tutti i Suoi insegnamenti per poter trarne fermezza. Qualche dubbio lo assilla ancora e i dubbi sono sempre simili a demoni. Perciò egli chiama il Signore Kesi-nisudana. Kesi era un demone dalla potenza formidabile che fu ucciso da Krishna; Arjuna si aspetta dunque che il Signore annienti il demone del dubbio.





VERSO 2

sri-bhagavan uvaca
kamyanam karmanam nyasam
sannyasam kavayo viduh
sarva-karma-phala-tyagam
prahus tyagam vicaksanah

sri-bhagavan uvaca: Dio, la Persona Suprema, disse; kamyanam: con desiderio; karmanam: di attività; nyasam: rinuncia; sannyasam: l'ordine di rinuncia della vita; kavayah: l'erudito; viduh: sanno; sarva: di tutte; karma: le attività; phala: dei risultati; tyagam: rinunce; prahuh: chiamano; tyagam: rinuncia; vicaksanah: coloro che hanno esperienza.


TRADUZIONE

Dio, la Persona Suprema, disse:
La condizione di chi abbandona ogni attività dettata dal desiderio materiale è ciò che i grandi eruditi definiscono ordine di rinuncia [sannyasa], l'abbandono dei frutti dell'attività è ciò che i saggi definiscono [tyaga].



SPIEGAZIONE

L'uomo deve abbandonare l'azione interessata; questa è l'istruzione della Bhagavad-gita. Ma allo stesso tempo deve continuare l'azione che porta alla conoscenza spirituale, come afferma chiaramente il verso seguente. Gli Scritti vedici raccomandano numerosi metodi per compiere il sacrificio, secondo i risultati particolari che si desiderano: avere un buon figlio, elevarsi ai pianeti celesti e così via, ma ogni sacrificio che mira a soddisfare qualche scopo personale dev'essere rifiutato. Tuttavia il sacrificio compiuto per purificare il cuore, o per progredire nella scienza spirituale, non dev'essere abbandonato.





VERSO 3

tyajyam dosa-vad ity eke
karma prahur manisinah
yajna-dana-tapah-karma
na tyajyam iti capare

tyajyam: deve essere abbandonato; dosa-vat: come un male; iti: così; eke: un gruppo; karma: attività; prahuh: dicono; manisinah: grandi pensatori; yajna: di sacrificio; dana: carità; tapah: e penitenza; karma: attività; na: mai; tyajyam: devono essere abbandonate; iti: così; ca: e; apare: altre.


TRADUZIONE

Alcuni eruditi affermano che si deve abbandonare ogni attività interessata perché imperfetta, mentre altri saggi sostengono che gli atti di sacrificio, di carità e di austerità non devono essere mai abbandonati.



SPIEGAZIONE

Numerose pratiche menzionate nelle scritture vediche possono dar luogo a contestazioni. È detto, per esempio, che si può immolare un animale durante un sacrificio, altri sostengono invece che uccidere un animale è sempre un atto abominevole. È vero che le Scritture vediche raccomandano il sacrificio di animali, ma durante questi sacrifici l'animale non è veramente ucciso. Questi sacrifici devono servire a dargli una nuova vita: a volte egli ottiene un'altra forma animale, e a volte si trova subito elevato alla forma umana. I saggi, tuttavia, hanno opinioni diverse in proposito; alcuni affermano che non bisogna mai uccidere un animale, mentre altri sostengono che è bene farlo durante particolari sacrifici. Ora il Signore in persona mette fine a queste divergenti opinioni sul sacrificio.





VERSO 4

niscayam srinu me tatra
tyage bharata-sattama
tyago hi purusa-vyaghra
tri-vidhah samprakirtitah

niscayam: certamente; srinu: ascolta; me: da Me; tatra: riguardo a ciò; tyage: in materia di rinuncia; bharata-sat-tama: o migliore dei Bharata; tyagah: rinuncia; hi: certamente; purusa-vyaghra: o tigre fra gli uomini; tri-vidhah: di tre generi; samprakirtitah: è dichiarato.



TRADUZIONE

O migliore tra i Bharata, ora ascolta il Mio giudizio in materia di rinuncia. O tigre tra gli uomini, le Scritture menzionano tre categorie di rinuncia.



SPIEGAZIONE

Esistono differenti opinioni sulla rinuncia, ma in questo verso, Sri Krishna, la Persona Suprema, dà il Suo personale giudizio, che dev'essere considerato definitivo. I Veda, infatti, non sono forse insieme di leggi di cui Egli stesso è l'autore? Qui il Signore è presente in persona, la Sua parola dev'essere considerata definitiva. Egli dice che la rinuncia va vista in funzione delle influenze materiali in cui è compiuta.





VERSO 5

yajna-dana-tapah-karma
na tyajyam karyam eva tat
yajno danam tapas caiva
pavanani manisinam

yajna: di sacrificio; dana: carità; tapah: e austerità; karma: attività; na: mai; tyajyam: abbondante; karmyam: devono essere fatte; eva: certamente; tat: quel; yajnah; sacrificio; danam: carità; tapah: penitenza; ca: anche; eva: certamente; pavanani: purificando; manisinam: anche per le grandi anime.


TRADUZIONE

Gli atti di sacrificio, di carità e di austerità non devono mai essere abbandonati. Bisogna compierli. In realtà, il sacrificio, la carità e l'austerità purificano perfino le grandi anime.



SPIEGAZIONE

Gli yogi devono agire al fine di condurre la società umana a un livello superiore. Esistono numerosi riti purificatòri che mirano a elevare l'uomo alla vita spirituale, come la cerimonia del matrimonio, per esempio, detta vivaha-yajna. Un sannyasi, un uomo situato nell'ordine di rinuncia, che ha troncato tutti i suoi attaccamenti verso la famiglia, deve incoraggiare la cerimonia del matrimonio? Il Signore insegna qui che nessun sacrificio che mira al bene dell'umanità dev'essere rifiutato. Il vivaha-yajna, o cerimonia del matrimonio, ha lo scopo di regolare la mente in modo che trovi la pace necessaria al progresso spirituale. Questo vivaha-yajna dovrebbe essere consigliato anche dai sannyasi, alla maggior parte degli uomini. Il sannyasi non deve mai avere alcun contatto con le donne, ma niente impedisce che un giovane appartenente a un asrama meno elevato accetti una sposa con la cerimonia del matrimonio. Tutti i sacrifici prescritti hanno lo scopo di farci raggiungere il Signore Supremo. Anche le persone che fanno parte dei primi asrama devono continuare a compierli.
Questo vale anche per gli atti caritatevoli che mirano alla purificazione del cuore. Come si è già visto, la carità diretta a persone che ne sono degne conduce a una vita spirituale elevata.





VERSO 6

etany api tu karmani
sangam tyaktva phalani ca
kartavyaniti me partha
niscitam matam uttamam

etani: tutti questi; api: certamente; tu: ma; karmani: attività; sangam: associazione; tyaktva: rinunciando; phalani: risultati; ca: anche; kartavyani: dovrebbe essere fatto come dovere; iti: così; me: mio; partha: o figlio di Pritha; niscitam: definita; matam: opinione; uttamam: il meglio.


TRADUZIONE

Tutte queste attività devono essere compiute senza attaccamento e senza aspettarsi alcun risultato. Devono essere compiute soltanto per dovere, o figlio di Pritha. Questa è la Mia opinione conclusiva.



SPIEGAZIONE

Sebbene i sacrifici apportino tutti la purificazione, bisogna compierli senza ricercare alcun risultato. In altre parole, si deve rifiutare ogni sacrificio diretto al progresso materiale, ma non si deve mai abbandonare quello che purifica l'esistenza ed eleva al piano spirituale. Tutto ciò che conduce alla coscienza di Krishna dev'essere incoraggiato. Anche lo Srimad-Bhagavatam lo insegna quando esorta ad accettare ogni atto che favorisca il servizio di devozione al Signore. Questo è il più alto criterio di religione. Un devoto del Signore dev'essere pronto ad accettare ogni tipo di dovere, di sacrificio o di atto caritatevole se ciò può aiutarlo nel servizio di devozione che offre al Signore.





VERSO 7

nyatasya tu sannyasah
karmano nopapadyate
mohat tasya parityagas
tamasah parikirtitah

niyatasya: prescritte; tu: ma; sannyasah: rinuncia; karmanah: di attività; na: mai; upapadyate: è meritata; mohat: dall'illusione; tasya: di loro; parityagah: rinuncia; tamasah: nell'influenza dell'ignoranza; parikirtitah: è dichiarata.


TRADUZIONE

Non si deve mai rinunciare al dovere prescritto. Se a causa dell'illusione si abbandonano i doveri prescritti, ciò significa che la rinuncia è influenzata dall'ignoranza.



SPIEGAZIONE

Si devono rifiutare le attività che mirano alla soddisfazione materiale, ma si devono compiere quelle che ci elevano al piano spirituale e sono raccomandate nelle Scritture, come preparare del cibo per offrirlo al Signore Supremo, per esempio e accettare poi i resti del Suo pasto. Si dice che un sannyasi non debba cucinare per sé, ma farlo per il Signore Supremo non è affatto proibito. Il sannyasi potrà anche presiedere a una cerimonia di matrimonio per aiutare un suo discepolo ad avanzare nella coscienza di Krishna. Colui che rinuncia a queste azioni deve sapere che agisce nelle tenebre dell'ignoranza.





VERSO 8

duhkham ity eva yat karma
kaya-klesa-bhayat tyajet
sa kritva rajasam tyagam
naiva tyaga-phalam labhet

duhkham: infelice; iti: così; eva: certamente; yat: ciò che; karma: azione; kaya: per il corpo; klesa: penosa; bhayat: a causa della paura; tyajet: abbandona; sah: egli; kritva: dopo aver fatto; rajasam: nell'influenza della passione; tyagam: rinuncia; na: non; eva: certamente; tyaga: di rinuncia; phalam: i risultati; labhet: ottiene.


TRADUZIONE

Chiunque abbandoni i doveri prescritti, considerandoli penosi o temendo qualche disagio fisico pratica una rinuncia influenzata dalla passione. Un atto simile non conduce mai all'elevazione che si ottiene con la vera rinuncia.



SPIEGAZIONE

Il devoto situato nella coscienza di Krishna non deve rinunciare a guadagnare del denaro per paura di compromettersi nell'azione interessata. Se può impiegare il denaro guadagnato col suo lavoro per la causa della coscienza di Krishna, non dovrebbe rinunciarvi. E se alzandosi presto al mattino può avanzare nella coscienza di Krishna, non deve evitare di farlo. Tale rinuncia, motivata dalla paura o dalle difficoltà che comportano questi atti, appartiene alla passione. E il risultato di atti dominati dalla passione si rivela sempre doloroso. Colui che, sotto l'influenza della passione, rinuncia al suo dovere, non godrà mai dei frutti della rinuncia.





VERSO 9

karyam ity eva yat karma
niyatam kriyate 'rjuna
sangam tyakva phalam caiva
sa tyagah sattviko matah

karyam: deve essere fatto; iti: così; eva: in verità; yat: che; karma: attività; niyatam: presunta; kriyate: compiuta; arjuna: o Arjuna; sangam: associazione; tyaktva: abbandonando; phalam: il risultato; ca: anche; eva: certamente; sah: quella; tyagah: rinuncia; sattvikah: nell'influenza della virtù; matah: nella Mia opinione.



TRADUZIONE

Ma la rinuncia di chi compie il dovere prescritto solo perché dev'essere compiuto, rinunciando a ogni compagnia materiale e a ogni attaccamento al risultato dell'attività, è una rinuncia che appartiene alla virtù, o Arjuna.



SPIEGAZIONE

Questo è lo stato d'animo che deve accompagnare l'adempimento del proprio dovere. Si deve agire senza attaccarsi al risultato e senza identificarsi coi particolari aspetti della propria attività. Il devoto che lavora in fabbrica non s'identifica né col lavoro di fabbrica né con gli operai. È felice di lavorare per Krishna, e poiché offre a Krishna i frutti del suo lavoro, agisce sul piano spirituale, al di là delle influenze materiali.




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VERSO 10

na dvesty akusalam karma
kusale nanusajjate
tyagi sattva-samavisto
medhavi chinna-samsayah

na: mai; dvesti: odia; akusalam: non propizie; karma: attività; kusale: alle propizie; na: né; anusajjate: si attacca; tyagi: l'adepto della rinuncia; sattva: nella virtù; samavistah: assorto; medhavi: intelligente; chinna: avendo eliminato; samsayah: tutti i dubbi.



TRADUZIONE

La persona intelligente che pratica la rinuncia, ed è situata in virtù, che non prova avversione per l'azione sfavorevole né si attacca all'azione favorevole, non ha dubbi sul modo di agire.



SPIEGAZIONE

L'uomo cosciente di Krishna, cioè situato nella virtù pura, non prova alcun risentimento verso gli esseri o le cose che mettono il suo corpo in situazioni scomode. Agisce nel luogo e nel momento più opportuni, senza preoccuparsi dei disagi che potrebbero essere provocati dal compimento del suo dovere. Quest'uomo, situato sul piano spirituale, al di là della materia, possiede la più grande intelligenza e nelle sue azioni è completamente libero dal dubbio.







continua...








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