I poteri medicinali della marijuana
Il ministero della Sanità dell’Aia ha deciso, lo scorso dicembre, l’istituzione di un apposito centro, BMC, incaricato di mettere a punto una forma farmaceutica della cannabis e di condurre degli studi clinici per definirne le possibili applicazioni terapeutiche. E la forma farmaceutica è importante, visto che il fumo è stato scartato per via dei rischi oncologici associati. Dal primo gennaio il centro avrà il monopolio di tutta la cannabis per uso medico e sarà l’unica istituzione olandese autorizzata a importarla o esportarla, a distribuirla, stoccarla e ad accordarle qualsiasi omologazione. Tra le responsabilità, quella di vegliare che la “materia prima” non prenda altre strade, raggiungendo mercati clandestini.
A far parte del nuovo centro che dipende direttamente dal ministero della Sanità, due farmacisti, un ispettore sanitario specializzato in “buona pratica clinica” e due rappresentanti delle associazioni di pazienti affetti da sclerosi multipla e Aids. Nella circolare informativa inviata ai parlamentari, il ministro della Sanità Els Borst-Eilers ha spiegato che il centro avrà la possibilità di collaborare con i gruppi di ricercatori già attivi nel campo, di Belgio, Regno Unito e Svizzera, oltre che di Stati Uniti e in Canada.
Tra i tanti e documentati poteri curativi dell’erba negli ultimi tempi si sono scoperte proprietà antivomito e antinausea, fondamentali per contrastare gli effetti collaterali dei farmaci usati nella cura dell’Aids. Interessante invece l’esperimento inglese dove la Royal pharmaceutical society è stata autorizzata dal governo per una sperimentazione su 2000 persone con sclerosi multipla come coadiuvante per trattare gli spasmi muscolari tipici anche del Parkinson.
In Italia invece l’unico uso terapeutico di una sostanza stupefacente riguarda la morfina, nonostante le caute aperture del ministro della Sanità Umberto Veronesi verso una, ancora teorica, sperimentazione della cannabis.
Delle sue proprietà curative si parla per la prima volta in un testo di medicina cinese come rimedio per disordini femminili, gotta, reumatismi, malaria, stipsi e debolezza mentale, ed è presente anche in diversi manuali di medicina ayurvedica indiana.
Contiene un centinaio di principi attivi, il principale è il Thc, il Tetraidrocannabinolo.
Dalla demonizzazione della marijuana allo sguardo fiducioso verso la possibilità di usarla in campo medico.
Canapa, cannabis, e marijuana. Sono parole che spesso si usano solo quando si parla di droga, ma da qualche tempo si iniziano a sentire anche in medicina. Da sempre, inoltre, si usano in agricoltura, perché la canapa è una pianta di cui da poco si è incentivata la produzione anche in Italia. Ma un principio attivo di quest’erba (il Thc) sembra essere molto utile anche per curare diversi disturbi di salute. Per questo, negli ultimi tempi, gli studi scientifici e le sperimentazioni mediche stanno diventando sempre più frequenti. La canapa è il nome italiano di una pianta che in modo scientifico viene definita cannabis sativa. Dal punto di vista botanico si distinguono due sottospecie di questa pianta: la cannabis sativa sativa, tipica dei Paesi settentrionali, impiegata comunemente in agricoltura e la cannabis sativa indica, tipica dei Paesi più caldi, è questa la varietà che viene utilizzata in campo medico. La cannabis sativa viene normalmente chiamata anche canapa indiana ed è quella che ha il maggiore contenuto di Thc, un principio attivo.
Dalle foglie e dai fiori di questa pianta si ricava la marijuana che contiene una percentuale di Thc che varia dall’1 al 5 per cento. Un altro derivato è l’hashish: si produce a partire dalle resine della pianta e contiene percentuali di Thc variabili dal 5 al 20 per cento. Dalla cannabis, infine, si ricava anche l'olio di cannabis che può contenere fino al 60 per cento di Thc.
Ecco i risultati più interessanti delle maggiori ricerche internazionali
In Italia solo ad uso tessile
Il Consiglio dei ministri dell'Agricoltura dell’Unione europea, nella seduta del 17 luglio 2000, ha approvato la riforma dell’organizzazione comune di mercato che riguarda anche la coltivazione della canapa. Al Consiglio, per l’Italia, ha partecipato anche il ministro delle Politiche agricole e forestali Pecoraro Scanio.
La riforma prevede aiuti per la coltivazione e la trasformazione della canapa per uso tessile, cioè per produrci fibre e tessuti. Quindi, questo provvedimento legislativo non ha nulla a che vedere con l'uso di questa erba in campo medico.
Per quali disturbi è utile?
Una delle principali azioni farmacologiche del Thc sul cervello è quello di ridurre la sensibilità al dolore. Per questo è molto utile come analgesico nei confronti di disturbi, come emicrania ricorrente o dolori mestruali. Soprattutto in quest’ultimo caso il Thc è adatto in quanto ha anche una funzione miorillassante, cioè decontrarre i muscoli.
Inoltre, il Thc ha un’azione antinfiammatoria, quindi, è utile anche in altri tipi di dolori come quelli dovuti ai reumatismi.
Gli spasmi muscolari
Gli spasmi muscolari sono contrazioni anomale dei muscoli del corpo, spesso dovute a serie malattie come la sclerosi multipla o il morbo di Parkinson. I cannabinoidi hanno sui muscoli un effetto miorilassante e antispastico, di conseguenza aiutano adecontrarre la muscolatura, come dimostra uno studouscito di recente sulla rivista scientifica “Nature”. Queste specifiche proprietà curative si spiegano perché i recettori per il cannabinoidi Cb1sono concentrati maggiormente nei gangli basali e nel cervelletto, cioè nelle aree del cervello deputate alle funzioni motorie. Anche per questo motivo, la Royal pharmaceutical society, un’associazione inglese, ha di recente avuto l'autorizzazione dal governo britannico a procedere a un’ulteriore sperimentazione su 2000 persone malate di sclerosi multipla, per poter trovare la formulazione farmaceutica migliore a combattere questo serio disturbo. Infatti, uno dei principali nodi da risolvere per la somministrazione farmaceutica della cannabis è proprio trovare la formulazione più adatta a ogni tipo di disturbo che si cerca di curare.
Nel caso degli spasmi muscolari, la strada più seguita dal punto di vista scientifico è quella dell'areosol.
L'asma
I cannabinoli hanno anche un effetto broncodilatatore, cioè aiutano a dilatare i bronchi e facilitando la respirazione. Questa proprietà potrebbe essere sfruttata da chi soffre di asma, ma la ricerca sta ancora lavorando su una formulazione farmaceutica che consenta una modalità di somministrazione diversa dal fumo perché quest'ultimo danneggia comunque i polmoni.
Il glaucoma
Il glaucoma è un serio disturbo della vista caratterizzato dall’aumento della pressione intraoculare, cioè quella all'interno degli occhi. Per questa malattia il delta-9-Thc sembra essere utile in quanto, in alcuni casi, riesce a diminuire la pressione interna.
A scoprirlo è stato un cittadino statunitense, il dottor Randall il quale ha ottenuto dalla legge di potersi curare con derivati della cannabis, aprendo la strada a questa terapia per lo specifico disturbo della vista. La sua scelta ha così trovato conferma anche in successivi studi clinici.
Già dal 1985 la Fda (la Food and drug administration), ossia l’ente americano che controlla i medicinali negli Usa ha permesso la vendita di un cannabinoide sintetico, ossia prodotto in laboratorio, il dronabinolo, in grado di contrastare la nausea in chi è sottoposto a chemioterapia.
La chemioterapia è un insieme di cure a base di farmaci chimici che si usano per combattere i tumori, gli effetti collaterali che accompagnano questo trattamento sono spesso molto pesanti.
I farmaci a base di principi attivi estratti dalla cannabis aiutano ad alleviare gli effetti collaterali, in particolare il vomito e la nausea.
Recenti studi hanno dimostrato che un cannabinoide sintetico, il dronabinolo, riesce anche a stimolare l'appetito, producendo un significativo aumento di peso, nelle persone malate di Aids e colpite dalla cosiddetta sindrome del deperimento.
È stato, inoltre, presentato uno studio che ha chiarito che i derivati della cannabis non interferiscono con i farmaci antivirali, cioè quei medicinali utilizzati per combattere i virus come quello dell'Hiv, che provoca l’Aids.
Il cannabidiolo, ossia un cannabinoide non psicoattivo, sembra avere anche proprietà anticonvulsionanti, cioè che aiutano a combattere le convulsioni, uno dei sintomi più comuni dell’epilessia.
Gli studi effettuati su questa malattia, però, sono ancora alla fase sperimentale, anche se molti malati, che si sono sottoposti volontariamente agli esperimenti, sostengono che il cannabidiolo li ha aiutati a superare con più facilità le convulsioni.
Anche per questo la British medical association, uno degli enti britannici più autorevoli in campo sanitario, ha di recente raccomandato di approfondire le ricerche sull’azione di questa sostanza.
I disturbi neurodegenerativi
Il morbo di Alzheimer, quello di Parkinson, la corea di Huntington, sono tutte malattie definite neurodegenerative perché sono provocate da una degenerazione delle cellule nervose.
Recenti studi, condotti da studiosi internazionali, tra cui un ricercatore italiano Maurizio Grimaldi, hanno scoperto che il cannabidiolo, un componente non psicoattivo della cannabis, aiuta a proteggere le cellule del cervello.
La ricerca, pubblicata sulla rivista scientifica “Proceedings of national academy”, ha dimostrato che il cannabidiolo agisce come un antiossidante, cioè combatte l'invecchiamento e la morte dei neuroni. Anche se gli studi sono sempre alla fase sperimentale questa scoperta apre nuove possibilità nella cura dell'ictus e dei disturbi neurodegenerativi.
Un problema: come somministrarla?
L’istituto di medicina dell’Accademia nazionale delle scienze degli Stati Uniti, lo scorso anno ha riconosciuto ufficialmente i benefici derivati dalla cannabis nella cura di determinate malattie. Nello stesso documento, però, l’ente americano ha portato all'attenzione del mondo scientifico il problema della ricerca di una somministrazione della cannabis diversa dal fumo. Infatti, l’inalazione dei cannabinoidi tramite il fumo provoca danni simili a quelle delle sigarette che vanno da una semplice irritazione delle vie respiratorie a problemi molto più seri, come il tumore ai polmoni.
Le tappe della ricerca
Per questo la comunità scientifica internazionale sta cercando metodi di somministrazione alternativi al fumo che, nelle persone malate, ha effetti ancora più nocivi. Per adesso si è arrivati a produrre come alternativa al fumo le pillole, ma il loro costo è molto elevato, inoltre l’assorbimento attraverso il tratto grastrointestinale è molto lento e gran parte del principio attivo viene inattivato dal passaggio nel fegato. Un altro modo di somministrazione che si sta sperimentando è quello inalatorio, cioè i principi attivi della cannabis vengono inalati come avviene durante un normale aereosol. Sono, inoltre, allo studio anche cerotti che rilasciano attraverso la pelle queste sostanze attive.
All’estero è già un farmaco
La normativa che in Italia regola la cannabis indica è il Dpr numero 309 del 9 ottobre 1990: nel nostro Paese non sono in vendita farmaci allopatici che utilizzino la cannabis indica, che invece è presente in alcuni medicinali omeopatici, anche se in dosi minime (si misurano in nanogrammi, ossia in miliardesimi di grammo). All’estero, ed esattamente negli Usa, in Israele, in Germania, in Gran Bretagna e nei Paesi Bassi esistono due cannabinoidi sintetici già in commercio: il dronabinol e nabilone. Questi farmaci vengono venduti dietro presentazione di ricetta medica per curare gli effetti collaterali della chemioterapia e per stimolare l’appetito nei malati di Aids, anche se entro il 2002 diventerà possibile utilizzarli per combattere gli spasmi della sclerosi multipla e per altri disturbi.
La marijuana aumenta i rischi d’infarto
I figli del baby boom che oggi si avvicinano ai cinquant’anni ai tanti motivi di preoccupazione che già hanno, da oggi devono aggiungerne un altro: gli effetti della marijuana sul loro cuore. Uno studio condotto da un’équipe di ricercatori della Harvard School of Public Health presentato alla conferenza dell'American Heart Association a San Diego, in California, documenta per la prima volta l’aumento del rischio di infarto per coloro che fumano marijuana. La possibilità chiaramente non riguarda chi una volta si è fatto uno spinello, così come non si muore di cancro ai polmoni per aver fumato una sigaretta. Tuttavia l’effetto cumulativo sul cuore dell’“erba” fumata negli anni potrebbe essere significativo. “I ragazzi nati col baby-boom, che oggi hanno tra i quaranta e i cinquant’anni, hanno fumato più marijuana che le precedenti generazioni – ha spiegato il dottor Murray Mittleman, uno dei autori della ricerca – e il rischio di malattie coronariche cresce con gli anni”. Secondo lo studio dei ricercatori americani, il rischio di essere colti da infarto nell’ora successiva al fumo di uno spinello è cinque volte più alto del normale. A dire il vero però, sono molte le cose che accrescono il rischio di essere colpiti da attacchi di cuore e i ricercatori sostengono che, per una persona in buona salute, il rischio della marijuana non sia più del doppio di quello che corrono facendo esercizi ginnici o del sesso. La ricerca si è svolta su un campione di 3.882 infartuati, sia uomini sia donne: 124, quasi tutti nella fascia tra i quaranta e i cinquant’anni, hanno dichiarato di essere fumatori abituali di marijuana. Tra i soggetti esaminati, 37 hanno avuto l’infarto entro un giorno dallo spinello. La correlazione tra uno spinello e un attacco di cuore non è chiara neppure ai ricercatori: di certo si sa solo che la marijuana accresce di circa 40 battiti al minuto il ritmo del cuore. Se il maggiore rischio correlato all’uso di canapa indiana è insignificante per un ventenne, le cui probabilità di avere un infarto sono vicine allo zero, diventa invece preoccupante per le persone che hanno già altri fattori significativi di rischio come la pressione alta o il diabete.
“La ricerca è importante in particolare per coloro che già sanno di soffrire di cuore - ha detto il dottor Lyn Smaha, presidente dell'American Heart Association - che dovrebbero evitare la marijuana”.
Per saperne di più
Chi desidera avere maggiori informazioni sull'uso terapeutico della cannabis può visitare alcuni siti internet italiani:
www.fuoriluogo.it/forum: fornisce la documentazione aggiornata di tutte le iniziative a favore dell’uso della cannabis in medicina, presenta inoltre la legislazione che regola questo argomento in Italia e all’estero. In più, dedica una sezione (il forum) alla discussione sugli usi medici di quest’erba, riportando esperienze di medici e malati che l’hanno adottata.
medicalcannabis.it: presenta il testo originale delle varie ricerche mediche e dei diversi studi pubblicati in tutto il mondo sull’argomento. Fornisce, inoltre, spiegazioni scientifiche sui meccanismi di azione della cannabis sul cervello.
Tutto parte dagli States
Ed è proprio dagli Usa che è partita una campagna di sensibilizzazione a favore della marijuana in medicina. Dopo il famoso appello nel 1995 su Jama di Lester Grinspoon, autore di diversi libri (Marijuana reconsidered e The forbidden medicine, entrambi tradotti in italiano), a favore di una rivisitazione della cannabis come medicina, nel ‘96 California e Arizona votarono a favore della depenalizzazione per chi la usa a scopo terapeutico. Oggi almeno altri otto stati americani hanno votato a favore di questo utilizzo. L’atteggiamento sta cambiando. Quest’anno il primo ministro britannico Tony Blair ha acceso il semaforo verde per la cannabis come farmaco.
E test clinici sono stati autorizzati dal governo canadese che ha fatto anche una gara pubblica per la fornitura di cannabis per progetti di ricerca medica.
Anche in Spagna e Germania l'aria è cambiata e si concede di usarla ai malati che la richiedono. Segnali favorevoli si registrano anche in Svizzera. Non così in Francia dove l’Accademia della medicina ha dato parere contrario.
“E tantomeno in Italia, dove si fatica a prescrivere gli oppioidi in commercio come farmaci per lenire il dolore. Il dibattito sulla cannabis a uso medico è molto teorico, anche perché i risultati finora non sono miracolosi” avverte Franco Toscani, responsabile scientifico dell'Istituto di ricerca in medicina palliativa Lino Maestroni
http://www.prevenzione-cardiovascolare.it/archivio/archivio_text.php?cat_id=7&pos=280