Sign for SIAICANIDIQUARTU

Sign for TUTTI UNITI CONTRO IL DECRETO ROMANI 16 L'AMMAZZA INTERNET ITALIANO

 
Pagina precedente | 1 | Pagina successiva
Stampa | Notifica email    
Autore

Le rune

Ultimo Aggiornamento: 22/09/2008 21:30
OFFLINE
Post: 622
Sesso: Femminile
È facile innamorarsi dell'antica Grecia e dell'Oriente classico. Pallade Atena e Dioniso, Apollo, Iside, Cibele e Afrodite non sono mai morti nella vecchia Europa, e hanno sempre avuto qualche devoto, nel corso dei secoli, grazie anche alle ideazioni artistiche che hanno più volte ispirato. Più arduo sentirsi in consonanza con le divinità scabre e corrucciate della mitologia nordica. Almeno così pare alla stragrande maggioranza di coloro che sono stati educati umanisticamente e soprattutto se di mentalità 'latina'. Eppure, come si è constatato nei precedenti servizi, il complesso di racconti che ha per protagonisti gli dei degli orizzonti settentrionali non manca di ragguardevoli significati simbolici. Per di più, la sopravvivenza nell'ambito folklorico di taluni usi e costumi sta a testimoniare che, nel profondo delle anime germaniche e scandinave, il retaggio pagano non è del tutto perduto. Sono tali la consacrazione della casa a una quercia o a un larice nelle zone rurali di Svezia e Norvegia, la divinazione praticata dalle giovani contadine danesi, contemplando la luna riflessa dalle acque di un ruscello, e il solenne e festoso corteo della Foresta Nera che, tra il 30 aprile e il primo maggio, celebra il risveglio della natura, portando in trionfo o fanciulle o fantocci rivestiti con rami e foglie. Qual è dunque lo spirito segreto della mitologia nordica e delle saghe che vi sono intimamente connesse? Non è nella letteratura, in senso stretto, che troveremo la giusta risposta, bensì in due componenti che si potrebbero paragonare alla linfa e ai fiori di un albero. Intendiamo riferirci al sacro alfabeto delle rune e alla 'lettura' del mito operata da Richard Wagner in chiave poetica e musicale, anzi melodrammaturgica. Sulle origini dei caratteri runici si possiedono due spiegazioni: l'una religiosa, l'altra profana. Secondo la prima, le rune furono ottenute da Odino (Wodan) a premio del massimo atto sacrificale: l'immolazione del dio a se stesso. Secondo quanto narra lo Havamal (II carme dell'alto Odino), nella parte maggiormente sapienziale, la misteriosa vicenda fu questa: Odino, desideroso di apprendere ogni forma di saggezza, accettò di essere appiccato all'albero del mondo (l'albero di cui nessuno sa "da quale radice si levi") e di pendervi per nove notti, ferito dalla propria lancia. Poté così "raccogliere le rune", apprendere dal gigante Bolthor (suo zio materno) i nove canti magici e nutrirsi dell'idromele, la bevanda che è in grado di suscitare il dono della poesia, in genere, e della profezia, in particolare. Molte le discussioni suscitate da questo racconto. V'è stato chi ha negato che Odino vi risulti protagonista di un vero e proprio processo di morte e risurrezione (lo Havamal precisa tuttavia che solo dopo essere sceso dall'albero e avere gustato l'idromele egli potè crescere in saggezza), sostenendosi che il suo dondolare da un albero per nove notti era quello di un 'appeso' e non di un 'impiccato' (accettandosi codesta tesi, l'appiccato dei tarocchi acquisterebbe un significato tutto particolare) e v'è stato chi ha rilevato certe somiglianze 'formali' tra il sacrificio di Odino e la Passione patita sul Golgota. Sono tuttavia possibili alcune controsservazioni. Alla prima tesi, non priva di fascino, si dovranno opporre i tradizionali appellativi di Odino quale 'dio degli impiccati', 'signore delle forche' e 'sovrano dei morti'. Alla seconda considerazione, in conseguenza della quale sarebbe più che giustificabile sostenere l'esistenza di un influsso cristiano sulla configurazione dell'autosacrificio di Odino, stante la datazione dello Havamal (il XII secolo d. C., in terra o norvegese o irlandese, ma comunque raccogliendo materiale più antico), si potrà contrapporre il rilievo secondo il quale, pur non escludendosi la possibilità che talune suggestioni cristiane ebbero bastante forza per infiltrarsi nel contesto del racconto pagano, resta il fatto innegabile che la connessione esistente tra il sacrificio mediante impiccagione e la conquista della capacità di tracciare caratteri e figure magici è tema che risuona anche in altri orizzonti pagani. Nell'ambito della grande raccolta di ballate epico-mitologiche finniche, conosciute sotto il nome di Kalevala, si narra, per esempio, che il gigante della vendetta Kullervo, quando era ancora bambino, dovette sopravvivere a vari tentativi di assassinio, commessi da un nemico della sua stirpe; il terzo di questi tentati omicidi avviene appunto mediante impiccagione a una robusta quercia, ma dopo tre giorni e tre notti ch'egli pende dall'albero: "No, non è morto no Kullervo / non è spirato sulla forca / Egli incide la quercia lavorando di punteruolo / e la quercia è tutta piena di disegni e di figure...". È dunque fuor di discussione che entro una prospettiva sacra e misterica la conquista delle rune da parte di Odino risponde a un paradigma ancestrale, è un frutto colto grazie a una concezione e a una pratica sacrificale che risalgono con ogni probabilità all'età sciamanica delle culture euroasiatiche. V'è da aggiungersi dell'altro: la grandiosità dell'immagine del dio che s'immola sull'albero del mondo è accresciuta proprio dal fatto che essa non ha carattere espiatorio né per il mondo né per lo stesso Odino, il quale continuerà a essere una divinità piuttosto amorale, ma sembrerebbe essere la condizione sine qua non perché poesia e veggenza divengano prerogativa degli dei e del mondo manifestato. E non è senza significato, inoltre, che poesia e invocazione magica paiono quasi confondersi l'una con l'altra, così come il carattere che concretizza la runa è, a un tempo, un segno fonetico e un ideogramma dai plurimi significati occulti. Ritorneremo su codesta duplicità. Per intanto, dobbiamo dar conto delle origini e dello sviluppo della scrittura runica, secondo quanto stabilito dalla paleografia e dalle altre discipline storiche e linguistiche. Oggi come oggi prevale l'ipotesi secondo la quale questo tipo di scrittura sarebbe nato nel 300 d. C. e nell'area nordoccidentale del Mar Nero, cioè a dire nella storica regione della Dacia. Si è altresì appurato che il periodo di fioritura e di massima diffusione può ascriversi ai secoli che vanno dal V all'XI d. C., per non parlare dell'estrema propaggine geografica, datata 1362, ritrovata nel Minnesota (Stati Uniti) e la cui autenticità (recentemente provata da verifiche chimiche) sta a dimostrare la realtà dei viaggi compiuti dai Vichinghi dalla Groenlandia al Nuovo Mondo. Più discorde il giudizio degli specialisti a proposito delle ascendenze attribuibili alla serie delle 24 rune canoniche e delle cinque sovrannumerarie. V'è chi ipotizza infatti una derivazione dalla scrittura greca corsiva e dal latino di età imperiale, congiuntamente; altri propendono invece per una discendenza dagli alfabeti etruschi latinizzati e altri ancora ritengono che la nascita dei caratteri runici debba collocarsi o in Danimarca o nella Germania settentrionale e che sia avvenuta in maniera del tutto autonoma, rimanendo influenzata da greco e latino solo in una fase posteriore. È comunque certo che sono maggiori gli elementi di diversità tra l'alfabeto runico e quelli classici 'volgari' che non quelli di somiglianza: la scrittura procede da destra a sinistra, la sequenza comincia con la terna feoh, ur, thorn (f, u, t) e ogni lettera ha un corrispondente numerico e in base a criteri a prima vista incomprensibili: feoh è uguale a 24, ur a 1 e così via. Il senso esoterico delle rune, la dimensione nascosta che esse racchiudono si disvelano purtuttavia di là dai giochetti numerici tanto cari agli occultisti. Innanzitutto, può rilevarsi che la serie canonica si proietta entro la fascia zodiacale a coppie per ciascun segno, principiando dal Sagittario, secondo un'accettabile ipotesi formulata da Elémire Zolla orsono 14 anni (vedasi Conoscenza Religiosa, n° 2, anno 1969), e muovendosi in senso retrogrado lungo lo Zodiaco, stante la necessità che ciascun segno solstiziale (le 'porte del Sole') contenga il suo opposto: il Cancro si apparenta infatti alla runa del ghiaccio oltre che a quella del raccolto e il Capricorno manifesta 'il giorno' e 'la luce', quanto il senso opposto di 'recinzione' ed 'esorcismo'. Un giuoco di polarità, il suddetto, tanto più significativo in quanto sta a indicare che laddove si sia capaci di guardare con intelligenza allo Zodiaco (cioè riconoscendolo come lo specchio degli archetipi, secondo l'insegnamento di Paracelso e Jung), ognuno dei suoi settori si rivelerà o con poteri 'coagulanti' o con qualità 'dissolventi', per dirla con i termini alchemici adoprati dallo stesso Zolla e facenti riferimento a processi che sono essenzialmente psichici e spirituali. Occorre aggiungere che tutto ciò suona a sottintesa, ma inequivoca condanna delle usuali tecniche oroscopiche? In seconda istanza, la scrittura runica lascia trasparire il potere che è racchiuso nelle sue lettere quando si consideri che, di là da certa magia 'spicciola', utilitaria, ciascuna di esse è l'effettivo custode, foneticamente e graficamente, di certi ritmi, fisici e vitali, a più livelli, entro e fuori la natura terrestre. Così è tramandato da certi insegnamenti riservati, non ancora contaminati dalla disvelazione e che tali debbono rimanere. Un paio delle più elementari dimostrazioni sono tuttavia esponibili. Si ricorderà allora, sotto il profilo della 'curiosità', che il numero canonico delle rune corrisponde al numero di 'tipi' di esseri viventi riconosciuti dalla moderna sistematica zoologica e che ogni runa presiede a un'ora del giorno o della notte; in prospettiva più simbolica, per converso, si potrà rilevare che i segni o fonemi sovrannumerari possono essere chiamati a rappresentare gli elementi perturbatori o 'miracolosi', gli interventi sovrannaturali o, per avverso, i fenomeni transitori o allucinatori. Dipende da molti fattori, come dalla qualificazione interiore di chi si è impossessato delle rune. Sia detto come fra parentesi: nella serie basilare che si è presa in esame le cinque rune supplementari sono costituite da ac, aesc, yr, ior, ear, in quanto ci si è riferiti agli arricchimenti grafici anglosassoni, ma altri caratteri possono aggiungersi o sostituire talune delle lettere, a seconda delle varianti ed esigenze linguistiche; nella stessa versione anglosassone, per esempio, l'alfabeto runico giunse a contare sino a trentatré segni. Non v'è da stupirsi di tanta fluttuazione, ciò che è arcaico è sempre soggetto alle pure leggi del ritmo, anche a livello psichico, perché non ancora 'cristallizzato', né del tutto crocifisso nella materia. Bene intese queste verità la grande intelligenza del cuore di Richard Wagner (1813-1883) nell'ideazione e realizzazione della Tetralogia, il ciclo in un 'Prologo' e 'Tre Giornate' che assomma e reinventa saghe e racconti del più lontano passato, ma che soprattutto penetra nella grande catena di regni della cosmogonia e del mito. Sotto tale profilo l'ondeggiante tema in si bemolle maggiore e in sei ottave con cui si apre la rappresentazione dell'Oro del Reno (il 'Prologo' della Tetralogia o Anello del Nibelungo) è qualcosa di più che un preludio: è la rappresentazione fonica del primo concretizzarsi del mondo e della vita, mentre il successivo frusciare delle figurazioni arpeggiate acquisisce invece, a poco a poco, un'impronta di stimolo visivo, come se non vi fossero più confini tra luce e suono. Analogamente, i successivi saluti delle tre ondine, prima alle acque e poi all'oro ch'esse custodiscono in fondo al fiume, sono ben altro che la descrizione di una situazione idillica, come potrebbe apparire di primo acchito, o un mero espediente teatrale. Per chi abbia bastanti conoscenze esoteriche, si è quivi in presenza dell'evocazione dello Stato dell'Esistenza anteriore alla caduta, quando ancora la Brama non aveva assunto alcuna maschera e non si era sollevata dalle Tenebre a concupire l'Eredità del Mondo. Siamo, come ciascuno può constatare, in una dimensione che nulla ha in comune con certe ricorrenti interpretazioni della Tetralogia. E che siffatte letture 'sociologiche' siano tanto presuntuose e pretestuose quanto aberranti è provato persino dalla più elementare delle constatazioni: nel concepimento e nella realizzazione dell 'Anello del Nibelungo Wagner estrasse più di un personaggio o di una situazione oltre che dall'Edda, francamente mitico, anche dal medievale Nibelungenlied (II canto dei Nibelunghi), ma evitando accuratamente qualsiasi riferimento che potesse inquadrare la vicenda in un orizzonte troppo delimitato; persino ne // Crepuscolo degli dei (l'ultima giornata della Tetralogia), laddove agiscono stirpi e comunità umane, uomini e donne appaiono circonfusi di bagliori epici e cavallereschi, piuttosto che storici o anche protostorici. Diremo di più: nella Tetralogia la componente umana, quando considerata collettivamente, è cieco strumento di rovina, solo contano le libere individualità di quanti operano a cavallo tra i mondi sovrassensibili e il mondo fisico: l'eroe Sigfrido, penetrato nel profondo dell'inconscio (la grotta del tesoro vegliata dal drago) e della Natura (il canto degli uccelli, il dominio sul fuoco) per conquistare infine la fanciulla celeste (la valchiria Brunilde) che è l'immagine speculare della sua anima, e Brunilde stessa, figura dell'Eterno Femminino, discesa sino agli uomini perché mossa dalla compassione (il tentativo di salvare coloro che avevano concepito l'eroe, Siegmund e Sieglinde). Sono tuttavia plurimi i significati racchiusi nella Tetralogia. I giganti, per esempio, vi simboleggiano le forze plasmatrici dell'Universo, istintuali o 'meccaniche'; i nani rappresentano le entità del sottosuolo od 'occulte', sempre pronte a bisbigliare 'parole di potere' o sentimenti di bramosia; e gli dei che attendono essi stessi la redenzione, a costo di porre fine alla loro era, raffigurano la religiosità politeista nel suo insieme e i misteri che da essa promanano, sotto forme diverse, animando ogni aspetto della Natura: lo scuotersi degli alberi alle voci dei venti, il distendersi improvviso e rassicurante dell'arcobaleno dopo la tempesta, lo zampillare di una sorgente e il fiammeggiare di una meteora. Certo, la sacralità degli dei nordici poteva apparire troppo poco trascendente e troppo legata al cerimonialismo delle immolazioni e Wagner per primo ne cantò il giusto e apocalittico tramonto, convinto com'era che rappresentare il ritorno alle limpide acque dell'oro bastasse ad avviare il processo di redenzione e di trasfigurazione del Creato e dell'Uomo. E in tale prospettiva l'opera ultima, il Parsifal, non solo si connette al Tristano e Isotta, com'è fin troppo facile intuire, ma si lega anche al principio e alla conclusione dell' Anello del Nibelungo, riproponendone su più alto livello le caratteristiche di solare eroismo. Il castello dei custodi del Graal "in Monsalvat" non è forse un Walhalla costruito con la fede anziché con l'inganno (nella Tetralogia la roccaforte degli dei è edificata dai giganti, avendo essi ricevuto la promessa, che non sarà poi mantenuta, di ottenere da Wotan la dea dell'amore e della giovinezza)? E il Graal non è forse, nella sfera della spiritualità, un pericoloso tesoro nascosto, per chi lo accosti senza conoscerne gli intrinseci poteri di farmaco e di veleno? Sigfrido, Tristano, Parsifal sono tre personaggi diversi solo in apparenza. In realtà, ognuno di loro è il simbolo vivente di un determinato orientamento intellettivo. Per dirla in termini ermetico-alchemici: Sigfrido è il modello di chi è in grado di percorrere la via dritta e pericolosa e lungo la quale è facile cadere preda dell'inganno, come Sigfrido cade; Tristano è colui che s'appella all'interiorità emotiva, alla possibilità di risalire dalla carne all'Eros cosmico e percorre dunque il cammino tortuoso dell'esaltazione e trasmutazione della soggettività, come nella pratica delle arti; Parsifal, infine, è l'asceta contemplativo, colui che rinuncia anche alla Bellezza, perché viva in lui e attraverso di lui l'Atto di Adorazione: sua è la via regale. Una precisazione importante: ciascuno dei cammini suddetti, in taluni casi eccezionali, può sovrapporsi per qualche tempo agli altri due e in tal caso si avrà a che fare con altrettante tappe trasfiguratrici. Il vocabolo runa significa 'scrittura segreta', 'segno', 'scongiuro' e 'mistero'. Quattro definizioni che possono estendersi a tutte le opere della maturità di Wagner e alla Tetralogia in specie, poiché veramente i suoi 198 temi fondamentali si distendono nello spazio acustico con funzioni di rappresentazione, evocazione e incantesimo, con magia 'runica', per l'appunto, e quando si sappia ascoltare.



[url=http://www.oipaitalia.com/
22/09/2008 21:19
OFFLINE
Post: 622
Sesso: Femminile
L'alfabeto runico apparve per la prima volta tra le genie germaniche dell'Europa centrale ed orientale, durante il periodo Romano. Molti caratteri runici sembrano essere stati presi a prestito da altri alfabeti, come ad esempio l'alfabeto greco, quello etrusco ed il più antico alfabeto romano. Alcune rune, invece, sembrano essere state inventate proprio da questi popoli.

Le più antiche iscrizioni runiche nella pietra risalgono al Secondo Secolo d.C., sebbene è molto probabile che l'alfabeto runico fosse già in uso alcuni secoli prima. Le rune sono state un alfabeto molto pratico che sviluppato per necessità. Molti adulti in Europa, al tempo dei Romani, possedevano ogni sorta di coltello, e le sculture in legno mostrano, di sovente, la grande l'abilità dei loro fabbricanti nell'incidere il legno. Così crearono un alfabeto che poteva essere riprodotto facilmente con linee dritte nel legno (e poi nella pietra) e che proprio per questo trovò un rapido sviluppo. Molte iscrizioni runiche identificano semplicemente, la proprietà, le tombe, qualcosa o qualcuno.

All'inizio della loro storia, le rune, ebbero poche regole di scrittura. Potevano essere scolpite, indifferentemente, da sinistra verso destra e da destra verso sinistra, o anche secondo il metodo Boustrophedon (la prima riga veniva scritta da sinistra verso destra, quella successiva da destra verso sinistra e via di seguito). Le rune venivano inoltre, spesso capovolte. La runa ed la sua immagine speculare, avevano però lo stesso valore fonetico.

Durante il periodo buio dell'Europa, quando l'alfabeto latino-romano acquisì più importanza, la convenzione romana di scrivere da sinistra verso destra, divenne la regola anche per l'alfabeto runico.

L'alfabeto runico germanico conteneva 24 caratteri. I primi 6 caratteri danno luogo alla parola "FUTHARK", oggi normalmente usata per indicare le rune. Quando le rune cominciarono a diffondersi nel nord dell'Europa, e precisamente in Scandinavia, alcune lettere furono omesse dall'alfabeto che si ridusse a soli 16 caratteri.

Tra il 400 ed il 600 d.C., tre popoli (gli Angli, i Sassoni e gli Juti) invasero la Britannia portandovi le rune. Una volta in Britannia, l'alfabeto degli Anglosassoni (Anglo-Saxon Runes) fu portato a 32 simboli.

Dall'800 d.C. le rune furono utilizzate da un capo all'altro dell'ovest, del centro e del nord Europa. I Vichinghi portarono le rune in Islanda ed in Groenlandia. Tramite i traffici commerciali che interessavano l'Europa centro orientale le rune si diffusero anche in Ungheria, Romania, Polonia ed in parte della Russia. I secoli che seguirono si caratterizzarono per la diffusione in Europa del cristianesimo, in questo periodo le rune andarono pressochè in disuso per l'affermarsi dell'alfabeto latino-romano e delle sue varianti. Una versione più antica dell'alfabeto latino-romano, usata nell'Inghilterra anglo-sassone durante il periodo antecedente la conquista Normanna, conteneva alcune lettere runiche come la "Þ" (thorn), basata sulla terza lettera dell'alfabeto runico.

Durante il Medioevo, quando il Cristianesimo divenne l'elemento culturale dominante nella maggior parte dell'Europa, le rune caddero quasi del tutto in disuso, tanto che molta poca gente sapeva ancora decifrarle. Molti gruppi di non cristiani e di pagani, continuarono ad utilizzare i simboli runici (ad esempio i seguaci della religione druida). Essi furono però, perseguitati dalle autorità cristiane e le loro usanze furono demonizzate.

Incapaci di comprendere le rune, i leader della Chiesa supposero si trattasse di formule magiche capaci di liberare il potere del demonio. A partire da quel momento, le rune acquisirono una pessima fama tanto da essere ancora oggi associate ai fenomeni dell'occultismo e del satanismo.

All'inizio di questo secolo, in Germania, il Nazismo ha utilizzato le rune per le insegne militari e per la propaganda, contribuendo a promuovere la reputazione sinistra delle rune.

Un contributo certamente positivo alla reputazione delle rune lo ha certamente dato, John Ronald Reuel Tolkien, che le utilizza per confezionare mappe e per integrare la grafica delle copertine delle edizioni cartonate dei suoi libri. Tolkien, ha usato le rune per rappresentare la scrittura dei Nani nelle sue storie. I Nani di fatto, usavano un alfabeto runico differente (chiamato Cirith o Argerthas). Tolkien ha sostituito il Cirith con il più familiare alfabeto runico anglo-sassone, proprio come ha sostituito l'inglese a molti linguaggi in uso nella Terra di Mezzo.

Ai nostri giorni diverse persone s'interessano ancora delle rune. Possiamo dividere questa gente in due categorie: da un lato gli storici della cultura e del linguaggio, dall'altro gli appassionati di romanzi fantasy e di giochi di ruolo.

Il Tengwar


Alcuni decenni fa, quando J.R.R. Tolkien scrisse la serie di romanzi fantasy: "Lo Hobbit" ed il "Signore degli Anelli", descrisse una razza di Elfi che possedevano una ricca storia, linguaggio e cultura. Non tutti gli Elfi parlavano lo stesso linguaggio. I linguaggi più importanti erano: il "Quenya" (il linguaggio degli Alti-Elfi) ed il "Sindarin" (il linguaggio parlato dagli Elfi-Grigi). All'inizio della loro storia, gli elfi concepirono un alfabeto per rappresentare il loro linguaggio. Più tardi, Fëanor dei Noldor, ispirandosi all'alfabeto di Rúmil, ideò un nuovo sistema di scrittura. L'alfabeto Fëanoriano fu creato per essere un ordinato sistema di scrittura che potesse essere rappresentato con penne e con pennelli.

I suoni delle consonanti erano rappresentati da lettere chiamate: "Tengwar". Le lettere Tengwar primarie sono 24. Le lettere sono organizzate in quattro serie di "Témar" (come si può vedere nella figura che segue). Ciascuna serie era usata per rappresentare suoni creati da differenti parti della bocca. Le serie I e II erano quasi sempre usate per rappresentare i suoni dentali e labiali. I caratteri della serie III, erano generalmente usati per rappresentare o i suoni palatali o quelli velati. Infine quelli della serie IV rappresentavano o i suoni velati o quelli labiali, a seconda del linguaggio rappresentato. Queste quattro serie, erano a loro volte divise in sei gradi, detti anche "Tyeller" (le righe della figura che segue). Ogni grado rappresenta un suono creato dai diversi modi in cui l'aria fuoriesce dalla bocca o dal naso. I gradi 1 e 2 erano usati per gli esplosi sordi e sonori. I gradi 3 e 4 erano usati per i fricativi sordi e sonori. Il grado 5 era usato per i suoni nasali ed il 6 per le consonanti semi-vocali. Ogni lettera Tengwar ha assegnato un valore fonetico a seconda della sua posizione in questa griglia. I vari popoli parlano linguaggi differenti a seconda di come ridefiniscono la griglia, così solo alcune lettere ebbero un valore fonetico fisso.

Tutte le lettere primarie erano formate (alla fine) di due elementi: uno stemma verticale o "Telco" (che rappresenta l'aria) e delle stanghette ricurve o "Lúva" (che rappresentano la voce). Esistevano inoltre, numerose lettere addizionali che integravano le lettere Tengwar primarie. Queste, non necessariamente seguivano le regole per i simboli.

Nella loro forma più antica, i suoni vocali erano rappresentati da simboli chiamati: "Tehtar". I simboli Tehtar erano messi sopra e sotto (ed a volte anche dentro) le lettere Tengwar. Esistevano cinque simboli Tehtar standard, che rappresentavano i cinqua suoni vocali più comunemente usati (a, e, i, o & u). Esse erano più frequentemente poste sopra le lettere Tengwar. (Tolkien usa questo stile per creare molte delle sue iscrizioni Quenya, Sindarin ed inglesi in Tengwar). Ma sia il numero delle vocali, sia il posto in cui esse vengono poste, dipende dal popolo che ne fa uso.

Nella forma più recente del Tengwar, furono usate delle lettere addizionali per rappresentare il suono delle vocali. Questa forma "aperta" fu sviluppata dagli Elfi-Grigi che vivevano nel Beleriand.

Il Tengwar divenne un sistema di scrittura molto flessibile, facilmente adattabile dalle differenti razze al loro linguaggio. Sfortunatamente, da quando divenne così flessibile fu possibile avere differenti versioni per tutti i linguaggi.

Per maggiori informazioni sulla storia del Tengwar, sullo stile ed altro, consultare l'Appendice E del "Signore degli Anelli".


Per una migliore visualizzazione delle tabelle, consigliamo di scaricare il file .zip che potete trovare al seguente indirizzo


Griglia delle lettere primarie del Tengwar Quenya:





La scrittura runica ha presentato sin dalle sue prime manifestazioni forme nettamente diversificate, a seconda che sia stata utilizzata in area continentale, settentrionale o insulare.

Le prime testimonianze riguardo a lettere incise su pietra o legno a scopo divinatorio ci sono fornite dallo storico latino TACITO nel 98 d.C., il quale ne fa menzione nel suo trattato “La Germania”. Tacito fu il primo ad intraprendere un viaggio nel nord ai confini dell’Impero Romano per osservare e registrare le abitudini di quelle popolazioni fino ad allora considerati incivili e disorganizzate. Il quadro che ne fa Tacito è tutt’altro che negativo. Egli li mette spesso a confronto e li contrappone ai romani. Lo storico latino ne fa un ritratto di uomini forti, belli, dalla carnagione chiara, dagli occhi limpidi e sinceri, la cui luce tradisce il grande spirito di iniziativa e la determinazione di cui erano dotati, ma soprattutto erano popoli virtuosi (dal latino VIR). Tacito pone tutto questo in contrapposizione ai costumi corrotti e decadenti dell’allora Impero Romano non più dedito a conquiste e guerre, ma consumato “nelle proprie debolezze, nelle banalità ludiche e indebolito da vani passatempi”.

In seguito al crollo dell’Impero Romano e alle invasioni delle popolazioni centro-europee – chiamate in greco barbaros (Barbaros) vale a dire “straniero, non-greco” – la civiltà nordica si espanse; le tribù germaniche si stanziarono ovunque dalla Scandinavia alla Crimea. Per questa ragione, sono state rinvenute diverse iscrizioni runiche in molte parti dell’Europa.

Tra le popolazioni germaniche, gli “scandinavi” si distinguevano per la loro civiltà. Erano dotati di una propria cultura consolidata e stabile, incutevano terrore per la loro irruenza e irriverenza, ma erano soprattutto abili commercianti. Le stesse popolazioni nordiche sentirono l’esigenza di scrivere per tramandare le proprie conoscenze e convertirono le rune in alfabeto. Alcuni studi rivelano che gli antichi alfabeti etrusco e nord-italici avessero le rune alla base della loro scrittura. Ma la prima iscrizione runica in senso letterario risale al 450 d.C. e rivela già il passaggio delle rune da strumento di divinazione ad alfabeto. Fino all’anno 1000, l’alfabeto runico non subisce modifiche, ma a seguito dell’introduzione del Cristianesimo e con esso della cultura classica latina, si assistette ad un processo di assimilazione e adattamento dell’alfabeto runico a quello latino. Nonostante questa sovrapposizione e la lenta scomparsa dell’alfabeto runico a scopi letterari, dal V al XVIII sec, la produzione di iscrizioni runiche rimase pressoché ininterrotta. Le rune, dunque, non scomparvero subito, in quanto non condividevano con gli altri alfabeti solo la funzione letteraria e rimasero un metodo di scrittura utilizzato per esigenze quotidiane (di supporto alla memoria di tutti i giorni).



In ambito insulare la tendenza ad adattare la scrittura ai suoni della lingua ha portato ad ampliare il futhark originario (composto da 24 segni) con altre rune (4 più 5); in Scandinavia si è verificata la tendenza opposta, con la semplificazione del futhark a 16 segni.

Alla fine del medioevo, in Islanda, fu aggiunta la venticinquesima runa alla quale è stato dato il nome Wyrd, una runa bianca, ossia priva di glifo, associata al Karma.



Gli alfabeti runici identificati sono 3:

L’alfabeto runico del germanico comune antico è il più arcaico e consta di 24 lettere suddivise in tre serie da 8 lettere ciascuna. I numeri hanno una evidente connotazione magica.

L’alfabeto runico scandinavo con il numero delle lettere ridotto a 16.

Di data più recente è il complesso e ricco alfabeto runico anglosassone, composto da 33 lettere.

Fehu

FEHU deriva dall'antica radice proto Indo-Europea peku- col significato di bestiame, che era il patrimonio dei popoli antichi, e quindi il valore di peku- fu immediatamente associato alla ricchezza che scaturiva dalla proprietà degli armenti.
E' evidente l'alternanza consonantica dal grado forte a quello aspirato della p in f e della k in h.
Era la ricchezza più importante e tale significato è passato anche nell'espressione "pagare il fio" e nel composto, ormai desueto, di metfio (come "dono del fidanzato alla fidanzata che viene consegnato il giorno delle nozze - il fio della meta, cioè delle nozze"). Troviamo traccia di metfio addirittura nell'Addizione di Liutprando all'Editto di Rotari (712) "...Illa vero, si ad alium maritum ambolaverit, et ipse puerolus eam habere noluerit, non ei possit vir suus, qui eam tollit, pleniter metfio dare, sicut ad aliam puellam, sed tantumodo mediaetatem, sicut ad viduam mulierem. ..."

Da peku- derivano molte parole in molte lingue, antiche e moderne collegate al bestiame ed alla ricchezza, vediamone alcune.

Uruz

URUZ è generata da una radice ur- decisamente germanica per indicare qualcosa di di primordiale, originale, e vedremo poi come queste parole si intérsechino con la stessa ur- primitiva, ed in varie lingue.

Uruz è, in pratica, l'uro, il toro primordiale, in inglese auroch.
Ur si ritrova con vari gradi di apofonia vocalica in terminologie che possono essere ricollegate a qualcosa di primigenio, di originale, come origine, ed originale, appunto (con il suffisso -geno per indicare la generazione).
Il latino orior (nascere, venire alla luce) è quindi da annoverare tra i più importanti esempi della mutazione della vocale iniziale, e non dimentichiamo che da orior nasce anche l'oriente, tanto per restare in qualcosa di divino che nasce. Il divino di Ur è facilmente riscontrabile in Urano (col suffisso derivativo -ano, presente in moltissime lingue del Vecchio Continente). Urano è quindi quello che viene dall'origine, come Vulcano è quello che viene dal fuoco, Giano e Diana vengono dalla luce, e proseguiamo con le provenienze come italiano, romano, africano ecc., oppure umano, urbano, isolano e così via.
Tornando alla Germania dei giorni nostri, possiamo trovare la nostra Ur in ursprache che è il linguaggio originale, ma anche in parole meno auliche e più alcoliche come la Pilsner Urquell (la fonte originale di Pils).
Spostandoci di poco, ci trasferiamo in Svizzera dove troviamo il Cantone di Uri, uno dei primi della Confederazione Elvetica, e scommetto che avrete già intuito che lo stemma riporta un bel toro.
Geograficamente parlando non dobbiamo poi dimenticare l'antichissima città di Ur in Mesopotamia, forse storicamente ben più importante, in quanto si tratta una delle prime città di cui si abbia memoria. Essa è citata nella Bibbia, ad esempio in Genesi, 11:28 Haran morì alla presenza di Terah suo padre, nel suo paese nativo, in Ur dei Caldei.
Secondo la tradizione, inoltre, Abramo nacque proprio ad Ur.
E sempre nella Bibbia è citato Uri in Esodo 35:30 Mosè disse ai figli d'Israele: «Vedete, l'Eterno ha chiamato per nome Betsaleel, figlio di Uri, figlio di Hur, della tribú di Giuda. Uri è tutt'oggi un nome comune, vedi Uri Geller.
E' poi molto suggestivo il fatto che dall'altra parte del mondo (in Australia) esista un luogo sacro agli aborigeni e che venga da questi chiamato Uluru - la roccia primordiale.
Nell'antica Grecia troviamo interessanti variazioni con la radice ar- che ci porta all'arkhe, cioè all'inizio, e quindi alle parole col prefisso arche- o col suffisso -archia che indicano la condizione di essere il primo, di primeggiare, come in archetipo o nella monarchia, e, se proprio vogliamo, anche arcangelo.
Vale la pena di soffermarsi in conclusione sull'Uroboro, che secondo taluni è la traslazione dal greco ουροβóρος. Questa è, però, una parola che non trovo nel dizionario di greco (almeno nel mio Rocci non esiste) e quindi la supposizione che voglia dire "mangiatore della propria coda" può perlomeno essere messa in dubbio dal fatto che anche in greco la coda è di genere femminile, e quindi dovrebbe essere stato "Uraboro". Il serpente che simboleggia la natura ciclica dell'Universo è invece, secondo me, il divoratore primordiale, proprio per la sua natura di origine come ci viene presentato da Platone nel dialogo Timeo.
All'essere vivente che doveva contenere in sé tutti i viventi conveniva una forma che contenesse in sé tutte quante le forme. Perciò lo arrotondò a forma di sfera, ugualmente distante in ogni punto dal centro alle sue estremità, in un'orbita circolare, che è fra tutte le forme la più perfetta e la più simile a se stessa, avendo pensato che il simile fosse di gran lunga più bello del dissimile. Lisciò con cura tutt'intorno la sua superficie esterna per molte ragioni. Infatti non aveva nessun bisogno di occhi, dal momento che all'esterno non era rimasto nulla da vedere, né d'orecchi, poiché non vi era nulla da udire: e intorno non vi era aria che chiedesse di essere respirata, e neppure aveva bisogno di un qualche organo per ricevere in sé il nutrimento, né per espellere i residui. Nulla infatti poteva lasciare andare via, e nulla gli si aggiungeva da nessuna parte - d'altronde al di fuori non vi era niente -, ma il mondo è stato generato ad arte per cui procura da solo a se stesso il nutrimento mediante la sua corruzione, e tutto agisce e patisce da sé e per sé: il suo ordinatore ritenne infatti che esso sarebbe stato migliore se fosse bastato a se stesso che se avesse avuto bisogno di altri. Quanto alle mani, che non gli sarebbero servite per prendere o lasciare qualcosa, il dio non ha ritenuto di dovergliele aggiungere inutilmente, né i piedi, né quanto in genere viene utilizzato per camminare. Gli ha invece assegnato un movimento che si adatta al suo corpo, e cioè quello fra i sette che riguarda maggiormente l'intelligenza e il pensiero. Perciò facendo girare intorno nello stesso modo, nella stesso punto e in se stesso, lo fece muovere di un moto circolare, gli tolse tutti e sei i movimenti e lo realizzò in modo che fosse privo degli errori di quelli. E non avendo bisogno di piedi per questa rotazione, lo generò senza gambe e senza piedi.

inizio
Thurisaz

L'etimologia di THURISAZ è da riferirsi ad un'antica voce onomatopeica *(s)tene-, che indica il rumore del tuono, quindi qualcosa di grande, immenso ed allo stesso tempo che lascia attoniti. E' la stessa radice da cui provengono il thunder inglese, il tonare latino, ma anche il Thor nordico e soprattutto il norreno Thurse, il gigante del gelo con cui usualmente questa Runa viene identificata.
Partendo da queste parole si possono ritrovare tracce della radice originale nelle espressioni italiane che hanno attinenza con tuono, mentre in inglese possiamo citare una parola quotidiana come Thursday. Italiano ed inglese si intersecano poi con le parole stun e stordire che hanno un significato analogo.

Il grafema di questa Runa sopravvive ai giorni nostri nell'alfabeto islandese con la lettera Þ nota anche come thorn o þorn che ha più o meno il suono del th inglese.
E' curiosa poi l'evoluzione della trascrizione dello stesso fonema in lingua inglese. Questo segno era presente in antichi scritti medievali, ma quando fu inventata la stampa, non si pensò a fabbricare tipi di questa lettera, e quando i primi stampatori inglesi cominciarono a produrre testi nella loro lingua, si pensò di sostituire il il Þ thorn con la y che noi chiamiamo ipsilon. La parola the venne trascritta ye nell'edizione originale della Bibbia di Re Giacomo. Tutt'oggi ci sono insegne di antichi locali inglesi che incominciano con "Ye olde..." proprio per rimarcare l'aspetto tradizionale del locale. La comunissima parola you era anticamente scritta e pronunciata thou, il che la rende simile al nostro tu.
L'incipit dell'antica ballata Iudas in inglese antico può servire da esempio:
Hit wes upon a Scere þors dai þat vre louerd aros
Ful milde were þe wordes he spec to Iudas.
Iudas þu most to Iurselem vre mete for to bugge
Thritti platen of seluer þu bere vp othi rugge.
Þu comest fer iþe brode stret, fer iþe brode strete
Summe of þin cunesmen þer þu meist i-mete.
Accadde un Giovedì Santo che Nostro Signore s'alzò
Dolcissime parole egli rivolse a Giuda:
Giuda, vai a Gerusalemme e compraci da mangiare
Trenta monete d'argento ti porterai sulle spalle.
Vai per la strada larga, vai per la strada larga
Qualcuno della tua gente vi potresti incontrare.


[url=http://www.oipaitalia.com/
22/09/2008 21:27
OFFLINE
Post: 622
Sesso: Femminile
Ansuz

La derivazione di ANSUZ è relativamente semplice perché esiste una forma proto Indo-Europea ansu- con il significato proprio di spirito, essere sovrumano e divino. Da qui è facile capire perché gli Asi vivessero nell'Asaland, e la capitale di questo regno fosse Asgard (le grafie sono spesso differenti a seconda del metodo di trascrizione, quindi potrete trovare anche Asaheim o Ásaheimr per il regno, Ásgarðr o Ásgarður per la la capitale e Æsir per gli Dei). Sono queste tutte forme derivate dalla semplificazione norrena del termine originario in as- e nella sua apofonia os- per indicare qualcosa di divino (da notare che As/Oss sono altri nomi con i quali questa Runa viene identificata). L'Asaland sarà quindi la terra degli Dei e l'Asgard la residenza degli stessi Asi. Non starò qui a ricordare che land è la terra e gard ha la stessa radice del britannico garden, il giardino, cioè qualcosa che racchiude (da gher-).
Ai giorni nostri, il nome di persona Oscar ha il significato di lancia divina, infatti esso proviene dall'antico nordico Osgar, dove il gar era l'asta da combattimento (niente a che vedere con il gard di cui sopra), mentre, per analogia, potrete facilmente intuire che Osvaldo è il potere divino, mentre, in ambito anglosassone, il cognome relativamente comune Osmond è la protezione divina. Nulla a che vedere, invece, tra questa Runa ed il nostro Ossian, che va invece riferito al leggendario bardo Oisin, letteralmente piccolo cerbiatto.


Raidho

Per RAIDHO troviamo facilmente la radice nel proto Indo-Europeo (PIE) reidh- in origine cavalcare, e poi, per estensione, montare su un un mezzo e andare.
Curiosamente questa voce non ha avuto un grosso seguito in ambito latino, dove si privilegiava il mezzo prima che l'azione, e quindi per i Romani cavalcare corrispondeva ad equitare, da equus, cavallo, ovviamente.
Invece nel Nord Europa l'espressione ha avuto molti derivati ed in molte epoche differenti (cf. Ant. Norreno riða, Ant. Frione. rida, Med. Oland. riden, Ger. reiten) per arrivare al moderno inglese to ride che mantiene lo stesso significato originario del PIE reidh.
Da qui basta spostarsi di poco per trovare in Ant.Irl. riadaim "io viaggio," ed in Gallico reda "carro".
Nell'inglese moderno troviamo poi ulteriore derivazione in raid e road, parole che non abbisognano di spiegazioni.
E' da sottolineare il fatto che l'inglese road ed il francese route siano collegati fra loro solo semanticamente, in quanto quest'ultima parola proviene dal Latino rupta (via) cioè "(strada) aperta con la forza".


Kaunaz

KAUNAZ è una Runa che, etimologicamente parlando, presenta numerosi dubbi, e sulla quale non mi sento in grado di fornire una spiegazione inequivocabile.
Vediamo innanzitutto il nome di questa potente Runa, che molti identificano con la Torcia: sono molte le traslitterazioni ed i nomi con cui viene chiamata, e già questo non favorisce molto il lavoro di ricerca: Kenaz, Cen, Kaunaz, Kan, Kano, Kaunan, Kaun.
Ci sono due filoni da tenere sicuramente presenti: quello anglo-sassone e quello norreno e islandese.
Nel primo caso il significato è propriamente torcia, perché questo voleva dire Cen:
Cen byþ cwicera gehwam, cuþ on fyre
blac ond beorhtlic, byrneþ oftust
ðær hi æþelingas inne restaþ.
La torcia è conosciuta ad ogni uomo vivente
per la sua fiamma pallida e luminosa;
essa brucia sempre dentro dove i principi si siedono.
Però può essere anche probabile che il poema anglo-sassone delle Rune dìa questo nome "cen" pur in considerazione del fatto che il nome originale non fosse stato capito o correttamente riportato.
Nel secondo caso abbiamo un significato connesso ad infezione, visto che in islandese kaun è proprio la purulenza, purtroppo ordinaria in epoche in cui l'igiene personale era quasi sconosciuta.
La cosa non è in opposizione alla prima ipotesi, visto che un ascesso nasce all'interno di un corpo con una scintilla che poi infiamma tutto intorno.
Quindi anche qui un aspetto del fuoco, sebbene distruttore e dissolutore.
Lo vediamo anche nel poema norvegese delle Rune:
Kaun er barna bolvan;
bol gørver nán folvan.
L'ulcera è mortale per i bambini;
la morte rende un corpo pallido
In ogni caso abbiamo un fuoco "controllato", e una runa che attraverso terre e secoli infiamma e brucia. E la sua radice brilla da migliaia di anni, specie vogliamo ricollegarci all'antico PIE kand- cioè brillare, che poi passa al greco kaiho ed arriva a noi tramite il latino in innumerevoli termini tra loro correlati, quali ad esempio candela, accendere, incendio, incandescente, incenso, candore.

Gebo

Per GEBO dobbiamo sicuramente riferirci ad antiche voci PIE ghabh-, ghebh- e simili, che indicano sostanzialmente il passaggio di qualche cosa da qualcuno ad un altro.
Da questo presupposto possiamo intuire che, in dipendenza dalla controparte, il significato può assumere il significato di dare o ricevere, e addirittura interessare l'oggetto stesso dello scambio. Ecco quindi spiegato il motivo grafico di questa Runa che interseca due linee in croce, che scambia ed equilibra le parti.
La derivazione più evidente e conosciuta dell'antica radice la troviamo sicuramente nell'inglese: give "dare", con ciò che ne consegue, come gift "dono". Nel vocabolario, to give occupa effettivamente numerose colonne, da solo e con i propri composti.
In italiano si trova solo una parola ormai poco usata: gabella e i suoi derivati.
La gabella è infatti una tassa che si deve dare, e in quanto tale, una delle gabelle da pagare è il dazio.
A questo punto la cosa si fa interessante, perché in realtà l'italiano non è andato a prendersi la gabella dal nord, ma più probabilmente dagli Arabi, che avevano al-qabàlah, una sorta di tassa, da qabal "ricevere", prendere, esigere. Ci vuole poco sforzo di immaginazione per arrivare alla Cabala ebraica, perché essa è la Tradizione, in quanto dottrina ricevuta. Anche la tradizione italiana ha un chiaro significato di scambio, in quanto deriva dal latino tradere, che sta per consegnare: il tradito è colui che viene consegnato (al nemico).
Si evidenzia quindi una certa relazione tra קַבָּלָה (comunemente traslitterata come Kabbalah, ma anche come Cabala, Kabbala, Qabalah), e la nostra Runa. Tutto ciò porta ad un significato certamente più ampio di quel "dono" con il quale essa viene frequentemente identificata.


Wunjo

WUNJO è una di quelle Rune che lasciano letteralmente il segno, perché è grazie ad essa che abbiamo la W, che noi chiamiamo "vu doppia"; il fatto che il suo grafema runico sia completamente differente da quello del nostro alfabeto moderno non deve trarre in inganno, e poi vedremo perché.
La sua etimologia parte da antiche radici proto-indoeuropee, come d'altronde è avvenuto per molte altre Rune. Si può certamente prendere come riferimento il PIE wen- con il significato di desiderio, che si è poi trasferito nel germanico *wunj, da cui l'inglese antico wen o wynn, per questa Runa di piacere e gioia. Da chiarire sùbito come la gioia italiana e la joy inglese non abbiano alcun riferimento con il -jo di Wunjo, in quanto, in primo luogo, esse derivano dal gaudium latino ed in secondo luogo -jo è semplicemente una desinenza che, fra l'altro, sparisce del tutto in altre traslitterazioni conosciute come Wen e Wynn, appena citati, oppure Wenne e Wulthuz.
Abbiamo scritto di wen- come di archetipo linguistico per desiderio, e questo valore non si è certamente perso nel tempo, specie se consideriamo che uno dei più rappresentativi esempi di desiderio è sicuramente la Dea dell'Amore, Venere. Sebbene l'assimilazione al culto di Afrodite sia piuttosto antica, restano evidenti le tracce di uno sforzo degli uomini per accattivarsi la benevolenza del dio, cioè di ottenere la venia, il favore divino. L'uso dapprima religioso del termine (in origine venus era un termine astratto e neutro) si estese poi ad altri atteggiamenti volti ad ottenere compiacenza e favori, come nella sfera sessuale, e di qui, almeno secondo Robert Schilling, la probabile personificazione della seduzione e del desiderio con la Venus divenuta allora Dea (cfr. Georges Dumezil, La religione romana arcaica, Rizzoli, Milano, 1977).
Troviamo quindi una venerazione che sta a rappresentare la domanda di una grazia agli dei, onorata con la riverenza che potremmo cogliere nella persona che supplica la venia per il fallo commesso. Semanticamente si potrebbe concludere dunque che la venerazione sta a metà fra l'adorazione e la riverenza, ma non vorrei divagare troppo, quindi, per concludere con le parole neolatine, sgombriamo il campo da facili equivoci e diciamo che altre parole simili foneticamente non hanno invece nessi etimologici diretti con la venia, e qui parliamo di voci come venale, vendere e venatorio, più i loro annessi e connessi.

Nel frattempo, in parte del Nord Europa, la nostra Wunjo/Wen/Wynn, analogamente al Þ thorn/Thurisaz è diventata una vera e propria lettera dell'alfabeto, e viene scritta come una specie di P, e più precisamente Ƿ ƿ (maiuscolo e minuscolo). Si può tranquillamente presumere che il fonèma sia rimasto sostanzialmente inalterato nel tempo, rispetto alla nostra W. La grafia di Wen era invece troppo equivocabile con la la P latina, ed allora si pensò di rappresentarla con il dìgrafo della "doppia u" (la denominazione più corretta), segno questo che si è affermato nel tempo per ragioni pratiche di leggibilità.


Hagalaz

HAGALAZ è il sasso scagliato dal cielo, Hagalaz è la grandine, la Runa della Tempesta, la furia degli elementi che porta al cambiamento ed al rinnovamento dopo aver fatto tabula rasa. Attualmente Hagalaz sopravvive ancora col medesimo significato originale in inglese nella parola hail, la quale, in una delle due accezioni principali, vuol dire appunto grandine, e nel tedesco con hagel. Ad essa si è arrivati attraverso l'antico inglese hægl o hagol dall'antico Germanico Occidentale haglaz (cfr. Alto Tedesco hagal, Norreno Antico hagl).
Anche per questa Runa troviamo inequivocabili tracce del suo passaggio in varie culture occidentali, come i sassolini che Hänsel e Gretel si lasciavano dietro per ritrovare la strada. Questo paragone non è ovviamente buttato lì a caso, perché andiamo subito a trovare un'antica radice PIE *kaghlo- con il significato di ciottolo, sassolino levigato appunto, senza contare che il Pokorny riporta anche *aghl- per nube tempestosa. Ci vuole poco sforzo di immaginazione per vedere questa grandine che un nero cielo ci scaglia con violenza.
Tornando ai nostri ciottoli, possiamo rapidamente trasferirci in Grecia per trovare il καχλεξ, traslitterabile in kakhlex, con significato inalterato.
Nessun mutamento di significato nemmeno se ci trasferiamo nel latino calculus, anche se assistiamo ad una lieve metatesi della parola.
In italiano l'antico calcolo è rimasto dolorosamente solo nelle reni, perché il significato moderno più immediato è quello di operazione matematica. Nessuna sorpresa in questo, visto che anticamente ci si serviva di sassolini e pietruzze per fare quelli che oggi chiamiamo appunto calcoli, come ci insegnavano alle elementari, mostrando anche il pallottoliere che è poi l'evoluzione tecnologica dei "calculi" latini.
Il calcare, inteso come roccia sedimentaria, fu uno dei primi materiali edilizi che l'uomo conobbe, e da esso si ottenne la calce che tuttora è adoperata nelle opere murarie in alternativa al cemento per ottenere la malta; tanto per ribadire quanto esso fosse considerato il sasso, la "pietra" per eccellenza.
E di sassi, o di forme ad assimilabili all'antico ciottolo, ne troviamo anche nel corpo umano; e dove, se non nel calcagno? Per estensione del significato della calx (sì, in latino era al femminile) a tutto il piede, in italiano abbiamo ora il calcio che è comunemente il colpo dato con il piede, più propriamente detto pedata. Curiosamente questo tipo di calcio non si è trasferito in altre lingue neolatine, come il francese o lo spagnolo, e tantomeno nei paesi anglofoni dove abbiamo il kick (la pedata vera e propria) e dove inventarono il football (il gioco del calcio).
Non vorrei dilungarmi troppo con questo calcio che semanticamente ha poco a che vedere con la nostra Runa, che ha invece un significato piuttosto chiaro, ma vorrei concludere con una piccola curiosità: per i latini, dire che si arrivava alla calce, ad calcem pervenire, voleva dire tagliare il traguardo perché era con essa che si segnava la fine della corsa.
Per vie traverse, e con una certa libertà di interpretazione, abbiamo anche qui la fine di un ciclo e l'inizio di qualcos'altro, come Hagalaz indica.


Nauthiz

A prima vista NAUTHIZ mi dava pochi spunti di riflessione, in quanto non andavo oltre il filone Germanico, da cui sicuramente questa Runa prende il nome.
Dai principali vocabolari in mio possesso si apprende che esistono un Antico Inglese nied (più precisamente Sassone Occidentale), e un ned (sempre in ambito anglosassone) col significato di "necessità, bisogno"; e col medesimo concetto troviamo un proto-Germanico *nauthis (cfr. Antico Norreno nauðr, Antico Frisone ned, medio Olandese nood, Germanico not, Gotico nauþs - sempre analoghi all'inglese need cioè bisogno, necessità).
Evito di riportare ulteriori voci simili di tradizioni comunque legate al Nord Europa. A differenza delle altre Rune non riuscivo ad andare oltre il Basso Medio Evo, ed avevo già comunicato questa mia impressione ad un'altra persona che studia le Rune. Allora, stavo rileggendo la mail che le avevo mandato, e mi sono accorto di una coincidenza veramente indicativa. Sul video del mio computer era possibile visualizzare tre lati di un triangolo equilatero che univano le apofonie di Nauthiz; nella mia lettera erano infatti disposte perfettamente a triangolo NA in GiovanNA, NE di RuNE e NO in NOn (che avevo scritto nella mail senza preordinazione). Sarà stato un caso, ma ho deciso di allontanarmi un po' dai vocabolari e seguire un po' l'istinto ed il segnale che avevo ricevuto.
Sono tornato indietro di qualche decina di secoli e mi sono concentrato sulla radice PIE ne- che si può considerare la madre di tutte le negazioni. Da essa troviamo no, nihil, nulla, niente, negare, e in inglese troviamo degli analoghi nothing, never, none, not, ma anche naughty che mi ha colpito per l'assonanza quasi perfetta con la nostra Runa e col suo significato originale.
Infatti, se attualmente i suoi significati sono da collocare tra l'impertinente, il cattivo e l'indecente, bisogna altresì obiettare che queste accezioni sono successive al 1500, e che si tratta di interpretazioni del primitivo "colui che ha bisogno di tutto perché e vuoto, colui che è bisognoso". Fu quindi una mancanza di principi morali ad indirizzare il naughty moderno alla disobbedienza salace.
Sono quindi tornato sui miei dizionari e partendo dalla mia conclusione ho comunque trovato la conferma che effettivamente naughty è collegato alla radice ne-. Un senso di vuoto e di negazione collega dunque questa Runa al bisogno ed alla necessità che essa rappresenta.


Isa

Anche per ISA la collocazione in ambito germanico è relativamente semplice ed evidente. La connessione semantica e linguistica con ice (ghiaccio) è talmente chiara che non ha bisogno di spiegazioni. E c'è anche nel vocabolario italiano una parola straniera, ma comunemente accettata, che deriva da ice: iceberg, la montagna di ghiaccio, appunto. Come per Nauthiz abbiamo un florilegio di espressioni nord-europee che si assomigliano fra loro: si va dal proto-Germanico *isa- all'Antico Inglese is, poi Antico Norreno iss, Antico Frisone is, Olandese ijs e Tedesco Eis. Non si riesce ad andare un po' più indietro.
Anche stavolta ho chiesto una aiuto alla mia fervida immaginazione e quindi le osservazioni successive per questa Runa devono essere considerate mie elucubrazioni personali, anche se sfogliando i dizionari si trovano le prove evidenti di quanto scrivo.
Stavolta ho semplicemente cercato di immaginare il ghiaccio con gli occhi di uno scandinavo di mille anni fa.
Ci sono molti tipi di ghiaccio: quello delle superfici dei laghi, quello della neve fredda che non si riesce a scavare, quello dei blocchi che galleggiano nel mare invernale e anche quello che pende instabile da qualsiasi cornice esposta. Lame ghiacciate e splendenti, stalattiti luccicanti che sembrano spade...

Il ferro, la lama, linea sottile che scende dall'alto, vibra e fende...
A questo punto mi sono concentrato sul ferro, l'iron, e ho trovato subito quello che cercavo per confortare il mio vago indizio: iron era una di quelle parole che hanno subito il rotacismo, cioè quella modificazione fonetica che trasforma in [r] un altro fonema. Il fenomeno è effettivamente documentato in alcune lingue germaniche antiche. Insomma, mi sono ritrovato in un mondo di is e eis, vedi Antico Inglese isærn (col successivo rotacismo della -s-), dal proto-Germanico *isarnan, l'Antico Norreno isarn, e via discorrendo, fino ad arrivare ad un Celtico *isarnon da un PIE *eis- con il significato di "forte".
Questa è dunque la mia conclusione: ghiaccio e ferro potrebbero avere una relazione linguistica in ambito germanico, partendo da una originaria radice *eis- che si è mantenuta costante per ice e che ha subito un rotacismo per iron.
Lame delle spade e stalattiti di ghiaccio hanno la stessa forma della nostra Runa, immutata anche nel nostro alfabeto con la lettera "i".
Non so se tutto questo sia veritiero e dimostrabile, ma a me piace pensare sia così, ovviamente sino a prova contraria.


Jera

Con JERA ritroviamo una Runa che ha un'origine etimologica relativamente facile da identificare con una radice PIE che in questo caso è *yer-/*yor-; e già nell'antica lingua proto-indoeuropea da cui si pensa abbiano avuto origine la maggior parte dei dialetti e lingue occidentali troviamo subito un significato di "ciclo annuale" o "stagione".
Il glifo di Jera, con il suo andamento quasi a spirale, è quindi certamente attinente con il suo contenuto simbolico di periodo annuale.
Troviamo analoghe forme verbali in tutte le le lingue ed in ogni epoca, in cui la radice originaria *yer-/*yor- si diffuse mantenendo comunque il valore di "anno", o "stagione", o "periodo determinato". Si va dall'Avestano yare all'inglese year, passando in mezzo a un proto-Germanico *jæram-, a un Gotico jer, e poi un Antico Frisone ger, l'Olandese jaar e il Tedesco Jahr, sempre col medesimo significato di "anno".
Prendendo la strada greca troviamo un significato maggiormente legato a singoli periodi ciclici, più che a un riferimento univoco all'anno a cui accennavamo sopra. Quindi la ώρα - hora sarà anche solo una parte dell'anno, cioè una stagione, un intervallo limitato di tempo, e anche solo una parte del giorno: ed ecco la nostra "ora", che abbiamo ricevuto in eredità con la mediazione dei Latini, i quali con la loro hora indicavano ovviamente una delle parti in cui il giorno veniva appunto diviso, senza dimenticare che a Roma si indicava con hornus ciò che aveva durata annuale.
In italiano c'è comunque la parola "oroscopo" che rimane legata ad una visione di un ciclo periodico quale era l'antica ώρα greca, ma che non ha nulla a che vedere con la nostra ora, ovviamente. E ancora meno c'è qualcosa da spartire con l'oracolo, che è invece colui che tiene la oratio, cioè il discorso, da orare.

Eihwaz

Da un punto di vista etimologico EIHWAZ riserva molte sorprese. E questo non tanto per la sua probabile radice PIE *aiw- (forza vitale, vita, vita eterna e quindi eternità) con la sua variante *yeu- (da cui l'inglese yew - albero del tasso che è il primo significato della Runa, giùntoci così attraverso il filtro delle varie lingue germaniche che hanno preceduto l'inglese moderno). Andremo a scoprire invece numerosi derivati delle radici originarie che mettono quindi Eihwaz in relazione a concetti e cose che a prima vista sembrano molto distanti.
Cominciamo col dire che, per quanto riguarda l'italiano, il tasso ci è giunto direttamente dal nome latino taxus che ha seguito un percorso filologico del tutto differente dal yew inglese, e per questo preferisco non affrontarlo. Non mi dilungherei quindi sul nostro tasso, se non per sottolineare il fatto che il passaggio di una parola da una lingua all'altra senza soluzione di continuità implica il riconoscimento della solidità e del radicamento di questa parola nella tradizione.
In numerose tradizioni il tasso ha assunto anche il nome di "albero della morte", per via della tossicità delle sue foglie e dei semi. Proprio per questo motivo veniva usato in tempi antichi specialmente negli spiazzi davanti le chiese non solo come pianta ornamentale, ma anche per scoraggiare i contadini dal far pascolar nelle vicinanze gli animali.
Diversa però è la descrizione del tasso che viene fatta nei Poemi Runici
. Ad esempio, troviamo nel poema norvegese delle Rune:
Ýr er vetrgrønstr viða;
vænt er, er brennr, at sviða.
Il tasso è il più verde degli alberi d'inverno;
non crèpita quando brucia.
Mentre nel poema runico anglosassone troviamo che:
Eoh byþ utan unsmeþe treow,
heard hrusan fæst, hyrde fyres,
wyrtrumun underwreþyd, wyn on eþle.
Il tasso è un albero con una corteccia ruvida;
forte e saldo nella terra, sostenuto dalle sue radici, un guardiano di
splendore e una gioia sulla propria terra.
Qui il significato di morte è sconosciuto, per assumere invece connotazioni molto più analoghe al significato delle radici PIE *aiw- e *yeu- che citavamo all'inizio.
Ripartendo allora da *aiw- arriviamo al Latino aevum cui sono da ricollegarsi molte voci che hanno relazione con "età" ed "epoca", come, ad es. evo, coevo, longevo, medievale. Anche l'inglese ever ha seguito la stessa strada, ma non Eva, che ci arriva dall'ebraico Hawwah e che poco c'entra con Eihwaz.
Aggiungendo un suffisso, avremo *aiwo-t-erno-, per condurci all' eterno, eternità, sempiterno, anche questi filtrati da un Latino che in questo caso è aeternus. Con un altro suffisso avremo invece *aiw-en- che ci porterà agli Eoni, ere temporali che a me potrebbero anche ricordare Crowley, e non a caso, perché il Liber AL vel Legis gli fu dato da una entità che viene ricordata, guarda caso, Aiwass.
Concluderei con una rapida scorsa ai derivati della variante *yeu- da cui otteniamo il Latino iuvenis con i suoi "giovanili" junior, juventus digradando poi verso l'inglese young.


Pertho

Pertho credo sia una Runa su cui nessuno studioso possa attualmente dire qualcosa di definitivo.
Si ritiene sia apparsa attorno al 400 dell'era moderna, ma non è chiaro da dove provenga, e non ha successivamente lasciato tracce né nelle lingue nordiche né in altri idiomi. Ad essa sono stati inoltre associati molti significati che, se ad una prima vista possono sembrare disparati, hanno un filo di mistero che li unisce, un mistero che va svelato con Pertho, appunto
Posso quindi solo fare congetture, partendo da pochi elementi attendibili.
Innanzitutto la provenienza: si pensa che Pertho sia da collegare all'espressione usata nella lingua parlata dall'antico popolo dei Pitti per definire genericamente un "boschetto". Da qui il toponimo Perth che è presente in quasi tutte le nazioni di lingua anglosassone. Se in Australia abbiamo la città più popolosa con questo nome, in Scozia abbiamo invece una località in una zona già occupata da cacciatori del neolitico o giù di lì, e ininterrottamente poi abitata.
C'è poi da considerare una serie di innegabili relazioni con Berkana (Berchta, Birch). Foneticamente abbiamo lo stesso timbro consonantico iniziale con labiale (forte in Pertho e debole in Berchta) e la stessa vocale tonica, la "e". Semanticamente, se il "boschetto" è un gruppo di alberi, la birch - betulla - un albero lo è di sicuro. Graficamente pare proprio che sia l'apertura di Berkana a generare il glifo di Pertho .
Un'invitante abbraccio di Betulla.
Non ci sono di grande aiuto nemmeno i Poemi Runici: Pertho esiste solo nel poema runico anglosassone:
Peorð byþ symble plega and hlehter
wlancum [on middum], ðar wigan sittaþ
on beorsele bliþe ætsomne.
Peorth è una fonte di ricostruzione e di inganno al grande,
dove i guerrieri siedono gioiosamente insieme nel salone del banchetto.
Molto misterioso, no? sembra il tavolo della sala attorno al quale i guerrieri si ritrovano, giocano a dadi, bevendo e raccontando le loro storie. Un tavolo di legno, uno spiazzo dove celebrare una riunione, dove fare qualcosa dall'esito imprevedibile.
Come una specie di "boschetto dell'iniziazione", per ricollegare ed unire significati conosciuti di questa Runa.

Bibliografia:


The American Heritage® Dictionary of the English Language

Online Etymology Ditionary

Lista dgli etimi di Pokorny della University of Texas di Austin

Nordic Magic Healing

Runes, Alphabet of Mistery

Sopravvivenze della lingua e della cultura longobarda nel Pistoiese e nell'Alto Reno

Lezioni di Linguistica di Giovanni Flechia

Dizionario Etimologico Online

Il Timeo di Platone

The Rune Poems





... to be continued... [SM=g6389] [SM=g6427] [SM=g10777]

[url=http://www.oipaitalia.com/
22/09/2008 21:30
Amministra Discussione: | Chiudi | Sposta | Cancella | Modifica | Notifica email Pagina precedente | 1 | Pagina successiva
Nuova Discussione
 | 
Rispondi
Cerca nel forum

Feed | Forum | Bacheca | Album | Utenti | Cerca | Login | Registrati | Amministra
Crea forum gratis, gestisci la tua comunità! Iscriviti a FreeForumZone
FreeForumZone [v.6.1] - Leggendo la pagina si accettano regolamento e privacy
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 11:11. Versione: Stampabile | Mobile
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com
Amnesty International - stop violence against women location. of visitors to this page