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Monadi

Ultimo Aggiornamento: 19/09/2008 21:47
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tra occidente e oriente
La Monade


I Principi della filosofia o Monadologia non è altro che una sintesi di tutto il pensiero filosofico di Leibniz. Per anni si è ritenuto che tale opera fosse stata dedicata al Principe Eugenio di Savoia. Ma è stato ampiamente dimostrato come tale equivoco sia nato dalle preliminari notizie contenute negli "Acta Eruditorum" (supplemento VII) contenenti la prima traduzione in latino dell'opera. In effetti essa fu dedicata all'amico Nicolas Francois Rémond, che per molto tempo chiese al filosofo dei chiarimenti sulla monade. Al Principe Eugenio di Savoia è stata sì dedicata un'opera, ma trattavasi dei Principi razionali della natura e della grazia, in cui, principalmente, sempre di Monade si parla.
Quel che è stato detto parlando di Spinoza lo ripetiamo per Leibniz: Ogni filosofo ha sfiorato un lembo dell'infinito mantello dell'Unica Verità. Tutti, pertanto, sono degni di ammirazione. I nostri brevi saggi vogliono esprimere semplicemente tale ammirazione, oltre che spingere all'approfondimento del pensiero di ogni filosofo. Questa nostra tesi non dice nulla di nuovo, visti i contenuti dei capitoli 56 e 57 della Monadologia. Dopo aver sostenuto nel 56 che ogni Monade è specchio dell'Universo, nella successiva dice: "E così come una medesima città, se guardata da punti di vista differenti, appare sempre diversa ed è come moltiplicata prospetticamente, allo stesso modo, per via della moltitudine infinita delle sostanze semplici, ci sono come altrettanti universi differenti, i quali tuttavia sono soltanto le prospettive di un unico universo secondo il differente punto di vista di ciascuna monade" (Leibniz - Monadologia -a cura di Salvatore Cariati - Bompiani testi a fronte, pag. 85). Una sorta di relatività, questa, che richiama alla mente anche la filosofia Vedanta. Sarebbe interessante studiare Spinoza e Leibniz alla luce di tale finale filosofia dei Veda, ma problemi di spazio e di tempo ci impediscono tale approfondimento. Ricordiamo solo come nel pensiero di questi due grandi filosofi è rintracciabile un particolare "non dualismo" (che nei due si differenzia come si differenziava nelle varie (5) scuole vedantine). I 90 capitoli della Monadologia, per la loro brevità ed intensità ricordano molto gli 81 capitoli del Tao-Te-Ching. Diciamo questo perché la loro brevità potrebbe far pensare ad una comprensione folgorante successiva ad una sola veloce lettura. Non è così. Ogni capitolo è da studiare, da meditare, da approfondire, perché dietro l'apparente semplicità (che è un pregio in un'opera filosofica: basta leggere Hegel per capire di che parliamo), vi è profondità di pensiero. Ricordiamo che il nucleo di tale opera è Dio. Infine, una curiosità. Dalla lettura, da parte di Voltaire, del cap. 54 della Monadologia (ove in sintesi vien detto che il mondo in cui viviamo è il migliore che Dio avesse potuto creare), è nato il Candide, un'opera satirica, che a nostro parere non riesce a scalfire una sola virgola del concetto espresso da Leibniz. Primo perché Voltaire non era un filosofo (basta leggere le sue opere per verificarlo); secondo perché quelle del polemista francese sono solo chiacchiere: se un qualunque Voltaire avesse detto che quello in cui viviamo è il peggior mondo che Dio avesse potuto creare, sarebbe stato facile scrivere uno s-Candide pieno di tutto l'opposto. Le chiacchiere stanno a zero. Quel che conta è il pensiero suscitato da vere intuizioni ed accompagnato dal ragionamento. Quello che vale è costruire, non distruggere: il vecchio, quando è alla fine della sua esistenza, toglie il disturbo senza bisogno di essere "eutanasiato". Detto questo, cominciamo.



Leibniz parte dal principio che "nella Natura tutto è pieno; dappertutto ci sono sostanze semplici, realmente separate le une dalle altre in virtù delle azioni proprie che modificano continuamente i loro rapporti" (Paragrafo 3 dei Prinicipi razionali della natura e della grazia, pag. 39 op.cit.). Queste sostanze semplici sono le Monadi. Da ricordare che Leibniz per sostanza intende un Essere capace di azione. Le monadi non hanno parti e durano per tutto il tempo che dura l'universo, la cui caratteristica è il mutamento, e che non può mai essere distrutto.
Ora, dal momento che la Monade è "sostanza", essa, per essere, non ha bisogno di altri. Quindi è principio costitutivo della realtà, forza primigenia. "Queste monadi sono dunque i veri atomi della Natura: in breve sono gli elementi delle cose" (cap. 3 - id. pag. 61).
Ci troviamo in presenza di punti metafisici, che però non sono tutti uguali, perché alcuni hanno facoltà di percezione, ed altri facoltà di appercezione: ovvero, alcuni percipiscono e basta; altri percepiscono e sanno di percepire, hanno cioè coscienza. Ora chiediamoci: perché Leibniz le ha chiamate monadi? Per due motivi: primo, perché monade vuol dire unità, e non c'è essere senza unità; secondo, perché essendo la monade indivisibile, immortale, immateriale, essa è il perfetto Microcosmo capace di specchiare il Macrocosmo. Come vedete siamo in piena metafisica . E qui è d'obbligo aprire una parentesi. Oggi la scienza ha rubato tutto lo spazio del pensiero: non più pensieri astratti, grandi intuizioni; non più teorie capaci di alimentari il pensiero di intere generazioni, ma esperimenti sulla materia. Non più anima. Solo corpo. Con la dichiarazione della "morte di Dio" non poteva che essere così. I nuovi filosofi portano il camice bianco di ricercatori. Sono medici, biologi, chimici, ecc. Solo i fisici, a causa dei paradossi cui sono giunti, hanno lasciato aperta la porta del possibile, ma non tutti. La maggior parte dei ricercatori si sono auto proclamati unici detentori della verità. Il loro fastidioso anticlericalismo, il loro sorisetto di scherno davanti ad un mistico o ad un semplice credente (per fortuna non tutti sono così), fanno davvero ridere: sono convinti d'avere scoperto tutto, di sapere tutto, di essere speciali, di essere i veri sacerdoti del nostro tempo. Un Leibniz con le sue monadi, un Platone con le sue Idee, un Kant con i suoi a priori per loro sono solo degli stupidi ignoranti. Non sanno, non possono (e come potrebbero?) percepire la grandezza di quei giganti: come può un nano vedere dalla prospettiva del titano? Non ce l'abbiamo con la scienza, ma con tutti quei scienziati convinti di essere Dio. Un Newton, un Leibniz, un Keplero, un Galileo, un Einstein e molti altri veramente grandi, quelli che hanno aperto delle vere e proprie autosdrade al pensiero, avevano una umiltà che li faceva ancora più grandi di quel che erano. Oggi, quando sentiamo parlare uno psicologo, un medico qualunque, un biologo o un qualunque ricercatorte, vediamo quasi gli spruzzi della boria schizzare per ogni parte ad ogni parola. Chi pronuncia la parola Dio, per questi signori è un imbecille; chi parla di metafisica, un idiota; chi va in chiesa a pregare (a qualunque religione appartenga), un cretino. Loro sono veri, gli altri tutti finti. L'ultimo degli psicanalisti, quando vede una tonaca di prete storce il naso. Loro oramai sono gli unici che hanno libero accesso all' anima, alla psiche dell'uomo e del mondo. Loro che basano le loro certezze su nulla di scientifico! Le menti di queste persone di scienza non hanno aperture a 360° , sono pressoché atrofizzate. Eppure, dalla loro atrofia mentale scagliano sentenze inappellabili verso tutto e verso tutti. Solo attraverso i frutti possono essere "giudicati" tali pensatori. Essi da un lato hanno portato avanti la fiaccola del progresso scientifico che pochi hanno acceso, dall'altro hanno contribuito, con i loro attacchi alla metafisica al misticismo e alla religione, allo sfascio della società: assenza di valori, anarchia, amoralità e immoralità, ecc. Pochi sono i laici intelligenti. Uno fra tutti, il Presidente del Senato Marcello Pera. Egli ha capito per tempo che un laicismo esasperato, un attacco frontale alle religioni conduce l'Occidente verso la catastrofe sociale. Qui si prescinde dall'appartenenza politica del Presidente. Si vuole solo sottolineare la sua intelligenza, la sua apertura mentale, il suo buonsenso. Gli sfasciasocietà giustificano la cosa con "il nuovo avanza ed il vecchio viene spazzato via". Ora, se fosse la gioventù a promuovere il nuovo (come è giusto che sia), la cosa potrebbe anche essere accettata. Ma il cosiddetto "nuovo" a proporlo sono una schiera di vecchi senza Dio e per certi versi senza cervello. Ma non lo vedono cosa hanno prodotto? Non si accorgono della gramigna che hanno seminato? Si rendono conto del peso che hanno le loro parole? Hanno occhi per vedere i frutti da loro creati, o no? Vogliono abbattere che cosa, i valori? A cosa mirano, al caos? Tali vecchi distruttori insieme con quella parte di mondo scientifico che tanto assomiglia loro, stanno distruggendo la società, anzi l'hanno già ferita a morte. Certo il mondo scientifico è ricco anche di tanta bella gente, di cervelli puliti, di menti eccellenti, ma a nostro parere sono una minoranza silenziosa. Solo i distruttori alzano la voce, perché gridando danno la prima spallata a ciò che vogliono abbattere. Poi passeranno alla derisione, all'insulto, alla violenza. Ed a volte la violenza verbale produce più danni dell'atomica. Ma chiudiamo la parentesi e torniamo a Leibniz. E' meglio respirare aria più pulita.
La filosofia di questo pensatore, a ben guardare, ci ricorda anche i concetti indù di Brahman e di Atman. Il primo è l'Assoluto, Quello, l'Esistenza Unica, il Dio totalmente trascendente; mentre il secondo è l'Assoluto in noi, il Sé, lo Spirito fuori del tempo-spazio-causa. L'Atman fa proprio pensare alla Monade-anima leibniziana, e il Brahman al Dio di Leibniz. Ma torniamo al nostro tema: nella Monadologia l'anima ha al suo interno tutto. Cosa che viene espressa con le suggestive parole: "Le monadi non hanno finestre, attraverso le quali qualcosa possa entrare o uscire" (cap. 7 op. cit. pag. 61). Ne deriva che i mutamenti continui che avvengono in ciascuna monade dipendono da un principio interno alle monadi stesse. L'azione attraverso cui questo principio interno dà vita al mutamento è l' appetizione (Cap. 17). Chiamando anima tutto ciò che ha percezioni e appetizioni, possiamo benissimo chiamare anime tutte le monadi. Però Leibniz non si ferma qui: l'anima deve avere qualcosa in più, è ciò è la memoria. Tale memoria, però, è appannaggio sia delle bestie che degli uomini che percepiscono solo in base ad essa. "E' la conoscenza delle verità necessarie ed eterne a differenziarci dai semplici animali, e a darci la ragione e le scienze, poiché ci eleva alla conoscenza di noi stessi e di Dio" (Cap 29, pag. 71 op.cit.). Questi atti di autoriflessione ci fanno nascere il pensiero dell' Io. E con ciò abbiamo una bella anticipazione del nucleo della Psicanali freudiana: l' Io. Siamo così arrivati alla ragione. . Ebbene, i ragionamenti dell'uomo si fondano sul principio di contraddizione e sul principio di ragion sufficiente. Col primo, diciamo falso ciò che implica contraddizione, e vero ciò che è opposto al falso. Col secondo, diciamo che un fatto o un enunciato esistono e sono veri in virtù d'una ragione sufficiente che fa essere enunciato e fatto in quel modo e non altrimenti. Da qui, il passo ad una Sostanza Ultima Necessaria è breve: "è questa Sostanza ciò che noi chiamiamo Dio" (cap. 38, op. cit. pag. 75 - la sottolineatura è nostra). Questa Sostanza è la Ragion Sufficiente di tutto e contiene tutta la "realtà possibile". Questo Dio leibniziano " è anche la fonte di quel Reale che è contenuto nel Possibile" (Cap. 43- id. pag. 77). Questo Dio non può quindi che essere la Sostanza Semplice Originaria. Ora, siccome al cap. 1 era stata definita la monade sostanza semplice, Dio è la Monade delle monadi e "tutte le monadi create o derivate sono produzioni di tale sostanza, e nascono, per così dire, in virtù di folgorazioni (dal nulla) che trovano un limite nella ricettività della creatura, alla quale è essenziale esser limitata" (id. pag. 81, cap. 47). Un altro interessante aspetto della monadologia sta nel fatto che, secondo Leibniz, ogni corpo vivente ha un 'entelechia dominante - ovvero una monade dominante - (che nell'animale è l'anima e nell'uomo è lo spirito): "ma le membra di questo corpo sono piene di altri esseri viventi (piante, animali), ciascuno dei quali ha a sua volta la sua entelechia o la sua anima dominante" (id. cap. 7°, pag. 91). Questa sorta di scatole cinesi fa pensare alla struttura dell' Albero Cabalistico proposto da F. Vascellari (vedi commenti ai Testi Sacri), laddove ogni mondo è strutturato al suo interno come un Albero cabalistico, e così pure ogni Sephirah ed ogni Cinerah. Questo mondo cabalistico frutto di emanazione, insomma, già nel primo mondo, nella prima emanazione conteneva tutte le altre con annessi e connessi. Cosa che Leibniz sintetizza nella famosa frase "Il presente è gravido dell'avvenire". Il che equivale a dire che ogni istante porta con sé tutto il tempo e gli eventi temporali. Infine Leibniz ci presenta la parte più nobile dell'universo: l'insieme di tutti gli spiriti costituisce la città di Dio, una sorta di mondo morale che è la più elevata e divina tra le opere di Dio (id. cap. 86, pag. 97). E' proprio in questo mondo morale che consiste la Gloria di Dio, dice Leibniz. Dopo averci ricordato che i peccati recano con sé il loro castigo, e le buone azioni, le loro ricompense, il nostro grande filosofo ci ricorda che i buoni si affidano alla Provvidenza e amano e imitano Dio, e conclude dicendo che Dio è la Causa Finale che deve costituire l'intero scopo della nostra volontà. Egli è l'unico a poter fare la nostra felicità (cap. 90, pag. 99). Andatelo a raccontare alla immensa schiera di materialisti pieni di sé che mettono l'ego ed i corpi al centro del mondo, e che sono alla eterna rincorsa delle false felicità, quelle a buon mercato predicate tutti i giorni e in tutti i luoghi possibili da falsi conoscitori della Verità.
Cominciamo a ricercare il nostro spirito, purifichiamo i nostri cuori, e poi abbandoniamoci alla perfetta Volontà Divina. Al di là dell' Io , c'è DIO.
http://www.taozen.it/saggi/Leibniz.htm


Rudolf Hermann Lotze nacque il 21 maggio 1817 e morì il 1° luglio del 1881. Come filosofo, tentò di conciliare i concetti della scienza meccanicista con i princìpi dell’idealismo romantico. Studente sia di medicina che di filosofia a Lipsia, dove in seguito tenne lezioni su entrambe le materie, diventò professore nel 1842. Nel 1844 successe a Johann Friedrich Herbart come professore a Gottinga e nel 1881 si unì alla facoltà di Berlino. Le sue opere principali sono: Metafisica (1841); Allegemeine Pathologie und Therapeutik als mechanische Naturwissenschaften (1842); Logica (1843); Fisiologia (1851); Psicologia medica (1852); Microcosmo, 3 voll. (1856-1864); Sistema di Filosofia: Logica (1874); Metafisica (1879). Il suo pensiero rappresenta una decisa reazione al panteismo idealistico di Hegel, che sembrava sacrificare l’individualità e la varietà dell’esistenza ad un formale ed astratto schema di sviluppo dialettico. Lotze definì la sua posizione filosofica come un idealismo teleologico, e considerava l’etica il punto di partenza della metafisica. Mentre da una parte rinforzava la visione meccanica della natura, dall’altra cercava di mostrare come il meccanicismo - la relazione causa/effetto – fosse in realtà incomprensibile, se non come la realizzazione di un mondo di idee morali. Così ogni catena causale diventa allo stesso tempo una catena teleologica. Lotze riuscì ad elaborare questa conciliazione tra una visione meccanicista con una teleologica combinando le monadi del pensiero di Leibniz con la sostanza infinita di Spinoza: in quest’ultima trovano infatti il proprio fondamento le cose individuali (monadi), ed inoltre, attraverso la sua unità che tutto comprende, diventa possibile l’interrelazione.Tenendo insieme la monadologia leibniziana e il panteismo di Spinosa, Lotze cerca di tenere coniugare monismo e pluralismo, meccanicismo e teleologia, realismo e idealismo, panteismo e teismo. Lotze riconosce valore alle istanze dell’idealismo etico-religioso di Fichte e le applica ad una sobria e scientifica interpretazione dei fenomeni naturali. In Lotze convivono una ferma convinzione dell’universale validità delle leggi scientifiche e la consapevolezza della necessità della metafisica. Egli insiste sul fatto che la filosofia debba avere le sue radici nelle scienze naturali, poiché gli esseri umani sono soggetti alla medesime leggi fisiche che governano gli oggetti inanimati: si schiera perciò contro qualsiasi tentativo di dedurre la realtà da meri principi astratti. "La conoscenza – sostiene – è il risultato dell’osservazione e dell’esperimento, non di uno sviluppo logico-dialettico". L’obiettivo della metafisica è perciò quello di analizzare e sistematizzare i concetti prodotti dalla scienza. Secondo Lotze la natura è sì governata da leggi meccaniche, ma il sistema della natura è un insieme di mezzi indirizzati verso un fine fissato da Dio. Egli considera tutte le cose come immanenti in Dio; ciò che gli scienziati vedono come una causalità meccanica è semplicemente l’espressione dell’attività divina. Le cosiddette leggi naturali sono nient’altro che azione divina: sono i modi dell’operare di Dio. Lotze rileva come l’uomo non possa trovare nessun appagamento etico-religioso nell’universo meccanizzato della scienza. La materia organica e quella inorganica si differenziano nell’organizzazione delle loro parti: la forza materiale conferisce movimento e direzione a queste parti separate. La concezione meccanica dell’universo, che considera anche il corpo umano come una macchina, non lascia quindi spazio alle idee e ai proponimenti dell’uomo. Il meccanicismo, secondo Lotze, risulta inadeguato per spiegare la vita. Sensazioni, percezioni e leggi del pensiero sono funzioni del Soggetto, dell’Io. La Realtà, le cose considerate per se stesse, devono avere la capacità di operare e subire effetti, pur rimanendo le stesse in ogni mutamento. La Realtà è da noi conosciuta soltanto attraverso quel principio di unità autodeterminante che è l’anima. Un’anima che è distinta dal corpo: essa è infatti la capacità della mente di combinare la molteplicità dei fenomeni nell’unità di un’esperienza cosciente. Lotze afferma perciò che l’universo fisico deve essere interpretato in termini mentali, cioè per come è conosciuto da noi. La materia è attiva e vitale, ma la vita mentale è superiore: essa riesce infatti ad illuminare le grossolane forme materiali. Benché il mondo fenomenico non sia privo di significato, lo si deve tuttavia concepire come un mondo eticamente ordinato. Per quel che concerne la logica, Lotze sostiene che forme e leggi del pensiero hanno fondamento nella ricerca del bene: la realtà stessa ha fondamento nel bene. La relazione tra corpo (meccanicismo) e anima (teleologia) si configura come un’interazione, anche se resta umanamente impossibile spiegare come ciò accada. Il corpo, secondo Lotze, è un sistema di monadi, di forze spirituali, ma è l’anima, correlata al cervello, che lo domina. Per questa via, Lotze trasforma la teoria meccanicista in un sistema di realtà spirituali in relazione reciproca l’una con l’altra. La molteplicità del mondo necessita infatti il suo fondamento in una sostanza universale della quale tutti i fenomeni siano modi d’espressione. Il meccanicismo diventa perciò un’espressione dell’Assoluto, dell’Essere infinito. La filosofia di Lotze trapassa così in un panteismo idealista nel quale coesistono la sostanza di Spinoza e le monadi di Leibniz: l’anima umana conferisce una personalità alla sostanza universale e ne fa un essere assolutamente buono, un Dio-amore. Nel suo capolavoro - Microcosmo (1856-64) -, Lotze avanza l’idea che gli scienziati e i fisici abbiano ragione a ritenere che l’universo sia costituito da atomi, ma gli atomi sono entità coscienti, senzienti, e si influenzano l’un l’altro in maniera causale, in prevedibile accordo con le leggi naturali. Questi atomi, o monadi, possono essere considerati meccanicamente dal di fuori, ma internamente sono espressioni di una volontà. Tutta la natura, che è meccanicismo direzionato da un fine, è espressione del volere creativo di Dio. Inoltre, sempre in quest’opera, Lotze sostiene che sia la mente a rendere unico l’uomo: infatti, sebbene sia soggetto come gli altri animali al processo evolutivo e alla lotta per l’esistenza, la sua storia non può essere interamente compresa in meri termini meccanicisti. L’uomo, che è in se stesso un’unità, porta l’Unità all’esistenza utilizzando idee e ideali: le unità, in natura, sono prodotti mentali. Sicchè è incontestabile che la natura si muove secondo leggi necessarie ed immutabili; ma bisogna aggiungere che tale ordinamento meccanico è espressione di una saggezza superiore, ed ha uno scopo complessivo che è quello della realizzazione del bene. Anzi quanto piú si approfondisce la perfezione del meccanismo naturale, tanto piú si fa chiaro il principio superiore di razionalità inerente alla realtà. E infatti, la scoperta che il processo di evoluzione della natura culmina nell'uomo, nella sua vita spirituale, è la testimonianza che tutta la realtà, cosiddetta «materiale», è nella sua sostanza «spirituale», e che l'affermazione dello spirito è il fine stesso del processo naturale. Inoltre la regolarità del processo mostra che Dio è la condizione di ogni evento fisico e di ogni legge meccanica. All'uomo cosí resta aperta la via alla speranza e alla gioia dell'esistenza, come pure la possibilità dell'azione morale e la certezza della fede.

http://www.filosofico.net/lotze.htm

[url=http://www.oipaitalia.com/
19/09/2008 21:47
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